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Cop25, per Greenpeace «esito inaccettabile»

L'organizzazione ha criticato il non-esito dell'incontro, trasformatosi in una "trattativa" politica

di Stefania Abbondanza

MADRID – La Cop25 delude e Greenpeace si fa sentire. I progressi auspicati prima dell’inizio del vertice sono stati disattesi e le cause, come fa notare la famosa organizzazione di attivisti per l’ambiente, sono chiare. Dietro alle non-scelte di questo convegno sul clima andrebbero ricercate le cosiddette “economie del carbonio”, ovvero degli Stati potenti a cui questo commercio serve così, inalterato.

POLITICI E NON - Una netta distinzione, quindi, tra chi alla convention faceva politica e chi invece cercava di richiamare al tema principale. «I politici - si legge nel comunicato di Greenpeace - si sono scontrati sull’”Articolo 6”(dei trattati di Parigi ndr) relativo allo schema del commercio delle quote di carbonio, una minaccia per i diritti dei popoli indigeni nonché un'etichetta di prezzo sulla natura». 

I PAESI INSULARI - Gli unici a cercare di dare un cambio di rotta sono stati i rappresentanti di quei Paesi fortemente minacciati dalla crisi climatica e dall’innalzamento delle acque. Si parla di tutti gli Stati insulari nel sud-est del Pacifico dove miriadi di atolli rischiano di scomparire se il livello delle acque dovesse aumentare, anche se fosse per meno di un metro.

ESITO INACCETTABILE - «I governi devono ripensare completamente il modo con cui conducono queste trattative, perché l'esito di questa COP è totalmente inaccettabile», dichiara Jennifer Morgan, Direttrice Esecutiva di Greenpeace International. «La COP25 era stata annunciata come un appuntamento “tecnico”, ma è poi diventata qualcosa in più di un negoziato. Ha messo in luce il ruolo che gli inquinatori rivestono nelle scelte politiche e la profonda sfiducia dei giovani nei confronti dei governi. C'era necessità di decisioni che rispondessero alle sollecitazioni lanciate dalle nuove generazioni, che avessero la scienza come punto di riferimento, che riconoscessero l'urgenza e dichiarassero l'emergenza climatica. Anche per l’irresponsabile debolezza della presidenza cilena, Paesi come Brasile e Arabia Saudita hanno invece fatto muro, vendendo accordi sul carbonio e travolgendo scienziati e società civile», conclude Morgan.

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