ROMA - Altro che "smart", in Italia pare che il passaggio dal lavoro in ufficio a casa sia essere stato un grande problema per molti lavoratori. Sbagliato, quindi, accettare l'idea secondo cui il passaggio al lavoro da casa sia stato veloce ed efficente. Lo denuncia l'Ordine dei consulenti del lavoro in un recente comunicato, in cui si lamentano le principali criticità, tra cui una bassa digitalizzazione di imprese e lavoratori, pesanti limiti legati alle infrastrutture del Paese e diffidenza da parte di imprenditori all’adozione di questa modalità di lavoro. È quanto emerge dal focus della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro “Non chiamatelo smart working. Il lavoro agile ai tempi del Coronavirus secondo i Consulenti del Lavoro”, secondo estratto dell’indagine condotta tra il 23 e il 25 marzo 2020 su 4.463 iscritti all’Ordine.
I NUMERI - Al momento si tratta del “test” più grande che sia stato condotto sul lavoro agile nel nostro Paese e che coinvolge 2 milioni 205 mila dipendenti, il 17,2% della forza lavoro in organico delle imprese italiane.
IL PROBLEMA - Per i Consulenti del Lavoro pesa il basso livello di digitalizzazione del Paese, sia per l’indice di alfabetizzazione digitale di imprenditori e lavoratori (l’88,4% concorda che tale aspetto rappresenta un forte ostacolo per l’efficacia dello strumento), sia per le carenze delle infrastrutture tecnologiche (l’81,8% degli intervistati).
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