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Spettacolo

"Il giardino dei cliegi" di Čechov ha inaugurato con successo la stagione del Teatro Stabile di Catania

Nei ruoli principali Magda Mercatali, Pippo Pattavina, Gian Paolo Poddighe

di Andrea Frumenti

Vivo successo e gran pienone per "Il giardino dei ciliegi", spettacolo inaugurale della stagione del Teatro Stabile di Catania. «Esiste nel “Giardino dei ciliegi” un protagonista invisibile, un elemento condizionante dell’intreccio dell’azione, o se si preferisce dell’inazione; questo elemento è il giardino stesso, tanto partecipe ma mai effettualmente presente nella sua forma».

Così scrive Giuseppe Dipasquale nelle note di regia per il titolo d'apertura del cartellone dello Stabile etneo, che non allestiva l’estremo capolavoro di Čechov dall’ormai lontano 1985. La nuova produzione ha debuttato alla Sala Verga il 21 novembre con repliche fino al 7 dicembre. Giuseppe Dipasquale, regista dello spettacolo e da oltre un lustro direttore dello Stabile, si avvale di un cast di alta qualità, sulla scia della tradizione ultracinquantenaria che pone l’ente etneo tra le maggiori istituzioni teatrali nazionali.

Antonio Fiorentino sigla la scenografia, Elena Mannini i costumi, Germano Mazzocchetti le musiche, Donatella Capraro i movimenti di scena, Franco Buzzanca le luci. Non mancheranno i  giochi  di  prestigio della festa del terzo atto, predisposti dal rinomato illusionista Salvo Testa, in arte Raptus, che si ringrazia per la collaborazione. Sul palcoscenico agiscono nomi di spicco come Magda Mercatali, Pippo Pattavina, Guia Jelo, Gian Paolo Poddighe, Italo Dall'Orto, Alessandra Costanzo, Angelo Tosto, Matilde Piana, e ancora Camillo Mascolino, Aldo Toscano, Annalisa Canfora, Cesare Biondolillo, Alessandro Giorgianni. Al loro fianco gli allievi del IV anno della Scuola d’Arte drammatica del Teatro Stabile di Catania, intitolata ad Umberto Spadaro.

Pluripremiato metteur en scene e drammaturgo, Giuseppe Dipasquale firma anche la traduzione e l’adattamento: «Čechov – sottolinea ancora nelle note di regia – sceglie di non mostrare mai il giardino, ma di farlo ‘immaginare’; di non portarlo mai sulla scena ma lasciarlo dietro, o lì in fondo alla fine di una lunga fila di pioppi alti e neri. Il giardino è sempre lì, segnale presente e costante, fuori dalla finestra; e si inviva nel ‘discorso’ prendendo a pretesto gli ‘scatti semantici’ dei personaggi, che fluttuano con instancabile mobilità per tutto l’intreccio della commedia».

Simbolo della trascorsa ricchezza, il podere andrebbe lottizzato e venduto per sfuggire all'asta incombente, mentre si configura il crollo della vecchia classe sociale dominante e l’affermarsi di quella emergente: un momento di passaggio che, come in un limbo sospeso, fa lievitare attorno al giardino ricordi e aspettative, paure e sogni, ma anche inedia e indifferenza. Il regista spiega come Čechov sviluppa questo meccanismo che mette i vari personaggi “visibili” in rapporto con i ciliegi sempre fuori scena: «Due doppie coordinate si scontrano: lo spazio di ieri contro quello di oggi; stesse contrapposte posizioni assumeranno i personaggi. Per Gaev e Ljuba quel giardino vuol dire un passato pieno di ricordi, pur anche patetici, ma ricordi.  Il passato è dietro e deve rimanere come è sempre stato, con le sue cose, legato ai suoi oggetti. Ma il giardino, e Lopachin ne è l’incarnazione più vistosa e gelida, fa parte di un presente, e a questo ora bisogna pensare. Nel secondo atto, un evidente contrasto viene a crearsi anche tra il contadino e l’intellettuale. Qui sono due realtà a contrapporsi, sono due forze tese verso opposte mete a creare dialettica: Trofimof con i suoi sogni umanitari, con considerazioni sul lavoro dell’uomo come fosse il principio dell’esistenza di Dio, si scontra con la concretezza di Lopachin che il lavoro lo fa, lo ‘tocca’, non lo pensa».

Infine quei tronchi così saldi cedono alle scuri. Il giardino, il protagonista invisibile, soccombe. «Il quarto atto – conclude Dipasquale – è l’atto dell’abbandono. Tutto può ripartire se tutto torna al punto di partenza.
Ljuba, come Gaev, Varja e gli altri non hanno più ragione di occupare quello spazio che non gli appartiene, essi hanno progressivamente perso il loro passato che era la “condicio sine qua non” perché il giardino, ovvero lo spazio vitale di tutto il podere, potesse essere accettato persino in altra forma. Ma altra forma (ovvero ‘lotti per villini’), significava non più passato, ma presente, sinanche futuro».

“Il giardino dei ciliegi” apre il ricco cartellone impaginato dal direttore del TSC Giuseppe Dipasquale: una carrellata di 27 titoli che si succederanno a ritmo serrato nelle due sale Verga e Musco.

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