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Epatite C: pubblicati gli ultimi studi che confermano la validità delle terapie

Epatite C: pubblicati gli ultimi studi che confermano la validità delle terapie

Il progetto "Red carpet" tra i nuovi modelli per individuare il sommerso

di Silvia de Mari

ROMA - La disponibilità dei nuovi farmaci antivirali ad azione diretta (DAA), che permettono di eradicare il virus dell’Epatite C in maniera definitiva, in tempi rapidi e senza effetti collaterali, ha reso possibile il raggiungimento dell’eliminazione di questa patologia entro il 2030 come prefissato dall’OMS. Tuttavia, la pandemia di Covid-19 ha rallentato notevolmente i trattamenti, inserendosi in un contesto già complicato dalla difficoltà di identificare i pazienti affetti dal virus, spesso non consapevoli, il cosiddetto “sommerso”. Questi temi sono al centro del progetto MOON di AbbVie: una serie di webinar in questi mesi autunnali per mettere a confronto infettivologi, epatologi ed internisti, affinché facciano rete per trovare efficaci strategie. Un’occasione per mettere a confronto specialisti di diverse branche e di diverse aree geografiche.

L'IMPATTO RIVOLUZIONARIO - “Le nuove terapie per l’Epatite C hanno avuto un impatto rivoluzionario – spiega il Prof. Giovanni Di Perri, Professore Ordinario di Malattie Infettive all’Università di Torino - Si è passati da terapie che avevano un’aspettativa di efficacia al di sotto del 50% con numerose controindicazioni ed effetti collaterali, con tempi che oscillavano tra i 6 e i 12 mesi, a una situazione in cui possiamo gestire il soggetto trattato in 8-12 settimane, in cui possiamo togliere il virus definitivamente dall’organismo umano. Ciò permette non solo di far venir meno la malattia epatica, ma di apportare anche un beneficio più ampio. Questa è infatti una malattia multi-sistemica, con conseguenze su diversi organi, con impatto, ad esempio, sul sistema cardiovascolare e sull’omeostasi glicemica, stante il confermato rapporto di associazione fra infezione cronica da HCV e diabete. Intervenire in modo netto permette dunque di curare più di una malattia e di prevenirne altre, con beneficio sia sul singolo soggetto che sull’intera comunità. Eliminare un’infezione da una popolazione è un obiettivo ambizioso, ma abbiamo uno strumento terapeutico che lo rende raggiungibile. Ci sono già esempi virtuosi (Australia, Irlanda, Olanda) di come l’uso sistematico della terapia anti-HCV stia portando a un impoverimento del serbatoio delle nuove infezioni. Per quanto concerne la recente interruzione dovuta alla pandemia, dobbiamo sottolineare anche l’opportunità nata da questa crisi: la necessità di test per individuare il Sars-Cov-2 permette di andare anche a sondare la prevalenza di HCV in categorie di popolazione che per noi sarebbero state difficilmente raggiungibili: RSA, scuole, corpi militari, tutti contesti della nostra società che ci possono dare una visuale inedita”.

I BUONI RISULTATI RECENTI – Da recenti studi internazionali emergono importanti conferme per i trattamenti con G/P. Il primo aspetto riguarda la durata di 8 settimane del trattamento dei pazienti con cirrosi compensata HCV-correlata attestata dallo studio registrativo Expedition-8. “Per poter confermare l’efficacia dello studio Expedition-8 è stato condotto uno studio retrospettivo su circa 200 pazienti con cirrosi compensata appartenenti a coorti diverse (europee, americane e globali) – afferma il Prof. Pietro Lampertico, Professore Ordinario di Gastroenterologia, Università di Milano – Per la prima volta al mondo, questo studio retrospettivo di pratica clinica, appena pubblicato, ha confermato i dati di eccellente sicurezza e tollerabilità di un regime terapeutico di sole 8 settimane nei pazienti mai trattati con cirrosi compensata HCV-correlata. La forza di questi dati è tale che le recenti linee guida europee consigliano 8 settimane di terapia con G/P nei pazienti naive con cirrosi compensata”. Un secondo studio internazionale ha invece certificato l’efficacia di questo trattamento anche nei pazienti fragili. “Questa ricerca ha coinvolto circa duemila pazienti trattati con G/P, di cui un quota significativa rientrava nelle popolazioni cosiddette “fragili”: pazienti con patologie psichiatriche, soggetti con abuso di alcol o farmaci, soggetti disoccupati o con basso tasso di scolarità – spiega il Prof. Lampertico - Lo studio ha dimostrato un’eccellente risposta virologica completa non solo nel gruppo nel suo complesso, ma anche nei diversi sottogruppi di soggetti fragili. Abbiamo anche combinato queste situazioni di fragilità e l’efficacia è rimasta in oltre il 98% dei casi. La risposta virologica è risultata indipendente dal numero di farmaci presi”.

LA SITUAZIONE IN LOMBARDIA – La Lombardia si conferma come particolarmente efficiente, con centri di riferimento senza liste di attesa, che permettono a qualunque paziente di essere trattato nel giro di 1 o 2 settimane e di guarire in 8-12 settimane. “Il problema non è trattare il paziente con l'epatite C, ma è identificare quel 30-40% di pazienti affetti da epatite C senza saperlo – evidenzia il Prof. Lampertico – In questo senso devono andare tutti gli sforzi. In Lombardia, ma anche in altre regioni, c’è un'intensa attività per quanto riguarda le carceri, dove si riscontra un'elevata prevalenza di Epatite C: è un'occasione unica, essendo questi soggetti fisicamente confinati in un luogo. Altre iniziative riguardano i SerD, altro serbatoio dove è possibile intervenire con test&treat, diagnosi con test rapidi e trattamento immediato. Poi ci sono progetti sul territorio volti a identificare altri pazienti: vari ospedali, per esempio, testano per l’Epatite C quei pazienti che fanno gli esami del sangue per altri motivi; infine, i test per il Covid-19 rappresentano una straordinaria opportunità per screening abbinati”.

IL PROGETTO RED CARPET – Tra le diverse strategie varate in questi ultimi anni, spicca il Progetto di informazione, prevenzione e screening denominato “Red Carpet”, basato sugli screening al SerD dell’Asst Fatebenefratelli Sacco nell’ambito del Dipartimento di Salute Mentale e varato a luglio 2019. Questa iniziativa è stata concepita in collaborazione tra i Servizi territoriali di diagnosi e cura delle dipendenze e l’UOC Malattie infettive 1 afferenti alla ASST Fatebenefratelli-Sacco di Milano. “Sussiste un’oggettiva difficoltà nell’identificazione dei soggetti HCV positivi – sottolinea il Prof. Giuliano Rizzardini, Direttore di Dipartimento Malattie Infettive, Ospedale Luigi Sacco – Dobbiamo dunque fare uno sforzo su quelle “popolazioni speciali” come i tossicodipendenti, tra cui prevalenza in termini di positività all’HCV si stima intorno a valori di circa l’80%. L’obiettivo primario del Progetto “Red Carpet” è quello di diagnosticare, informare e indirizzare i soggetti con problemi di tossicodipendenza, afferenti ai Servizi territoriali della nostra struttura verso una corretta gestione della patologia, orientandoli in un percorso clinico adeguato e di qualità che eviti inutili dispersioni di tempo e riduca il rischio di contagio in questa popolazione ad alto rischio e ad alta prevalenza. Il Progetto prevede che i soggetti con problemi di tossicodipendenza vengano sottoposti a screening mediante l’utilizzo di test rapidi salivari e, successivamente, di test XPERT HCV Fingerstick, saggio in vitro basato sulla reazione a catena della polimerasi in tempo reale dopo retrotrascrizione (RT-PCR). Questo test permette il rilevamento e la quantificazione dell’RNA del virus dell’epatite C in sangue intero umano venoso e capillare prelevato mediante puntura del dito con aggiunta di EDTA e fornisce i risultati in soli 58 minuti. I soggetti risultati positivi vengono inviati agli ambulatori della UOC Malattie infettive 1 e indirizzati su un percorso facilitato (“Red Carpet”) per il completamento dell’iter diagnostico (genotipizzazione, fibroscan, ecografia, ecc) e il successivo trattamento con DAAs. I pazienti “più difficili” vengono invece avviati al trattamento DOT presso il SERD di appartenenza”.

LA COLLABORAZIONE CON I MMG IN FRIULI - In Friuli Venezia Giulia la stima dei pazienti con infezione cronica da HCV è di circa 9mila persone, e la fascia di età nella quale l’infezione è ritenuta essere maggiormente prevalente è tra i 55 e i 70 anni. Di questi 9mila soggetti con infezione da HCV, si stima che circa 4mila abbiano un’infezione nota. Circa 3mila di questi soggetti sono già stati sottoposti al trattamento antivirale, effettuato con DAA in circa 2200 e con strategie basate sull’interferone nei rimanenti. Vi sarebbero pertanto circa 1000 soggetti con infezione nota che ancora non hanno ricevuto il trattamento mentre sarebbero circa 5mila soggetti con infezione da HCV non nota che rappresentano quindi il “sommerso”. Di questi soggetti, si stima che circa il 20% sia rappresentato da popolazioni fragili, quali i soggetti con storia di abuso di sostanze per via endovenosa, carcerati o immigrati, mentre circa l’80% si ritiene che siano presenti nella popolazione afferente al medico di medicina generale (MMG). "Al fine di perseguire l’obiettivo di far emergere il “sommerso”, è fondamentale il coinvolgimento del MMG come parte attiva di un network più ampio coordinato dalla sanità regionale che comprenda i laboratori, i SerD e gli specialisti dei centri prescrittori dei DAA – evidenzia il Prof. Pierluigi Toniutto, Direttore dell’Unità di Epatologia e Trapianto di fegato presso l’Università di Udine – In Friuli Venezia Giulia, la sanità regionale si è dimostrata molto sensibile a questo tema ed è stata propositiva con l’avvio di un percorso di identificazione dei pazienti con malattia epatica e, tra questi, di coloro con infezione da HCV. Il percorso ha previsto la stesura di un PDTA regionale indirizzato ai MMG, sulla gestione dei pazienti con alterazione dei test di funzione epatica che è stato decretato nell’ottobre 2019. A questo seguirà un ulteriore documento specifico che avrà l’obiettivo di fornire gli strumenti per l’identificazione e l’invio al trattamento dei pazienti con infezione da HCV non ancora nota. In questo progetto il MMG diventa il protagonista clinico del processo, poiché è colui che conosce i propri pazienti e che meglio di altri è in grado di identificare coloro che possono avere dei fattori di rischio per avere l’infezione da HCV, compresi coloro che presentano una alterazione dei test di funzione epatica. Il progetto ha l’ulteriore obiettivo di creare dei percorsi semplificati di diagnosi laboratoristica dell’infezione e di invio del paziente allo specialista per la terapia antivirale, al fine di minimizzare le tappe per giungere alla guarigione della infezione da HCV”.

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