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Fibrosi cistica: “25 anni di tutele e diritti dalla legge 548/93”

Lifc: «Monitoraggio risorse e uniformità delle cure, le nuove sfide per una patologia che cambia»

di Giordano D'Angelo

ROMA - Fibrosi cistica: si allunga l’aspettativa di vita per i pazienti. È il momento di impegnarsi a fondo per migliorarne anche la qualità. È l’appello promosso dalla Lega Italiana Fibrosi Cistica (LIFC) nel corso dell’evento realizzato su iniziativa della Senatrice Paola Binetti, in collaborazione con la Lega Italiana Fibrosi Cistica, “25 anni di tutele e diritti dalla Legge 548/93”, in corso a Roma presso la Sala dell'Istituto di Santa Maria in Aquiro (ISMA) presso il Senato della Repubblica.

L’ASPETTATIVA DI VITA - Tra il 2014 e il 2016 l’aspettativa di vita per i malati di fibrosi cistica è cresciuta del 5,38% passando da 35,3 a 37,2 anni. Un dato che assume valore ancor più significativo se confrontato con quanto accadeva nel periodo immediatamente precedente l’entrata in vigore della Legge 548/93 sulle Disposizioni per la Prevenzione e la Cura della Fibrosi Cistica. Tra il 1988 e il 1991, infatti, l’età mediana di sopravvivenza si attesta sui 14,7 anni (+152 per cento al 2016). È quanto emerge dall’analisi dei report storici del Registro Italiano Fibrosi Cistica (RIFC). La popolazione adulta nel 2016 rappresenta il 56,7% del totale dei soggetti affetti dalla patologia.

IL COMMENTO - «Siamo di fronte a una trasformazione importante della malattia, che non può più essere considerata solo pediatrica. – commenta Gianna Puppo Fornaro, Presidente LIFC – Nel nostro Paese, la lungimirante Legge n. 548 del 1993, ha istituito in ogni Regione un Centro specializzato per la cura della fibrosi cistica, assicurato ai malati la gratuità dei farmaci prescritti dai centri e stanziato fondi per la ricerca, oltre ad aver implementato il ricorso allo screening neonatale. Tutti elementi che hanno contribuito ad allungare l’aspettativa di vita, a partire dalla necessità di garantire alle persone in età adulta la migliore qualità della vita che passa anche dalla piena realizzazione professionale e dalla possibilità di curarsi presso strutture adeguate, non più pensate a misura di bambino».

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