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Arte e Cultura

Giuseppe Gallo presenta 'Arringheide'

Con l’autore interverranno Brigida Gullo, autrice RAI, e Vittorio Pagliaro

di Flavia Cruciani

ROMA - Sabato 29 settembre 2018 alle 19.00, nella sede di Spazio5 a Roma, Giuseppe Gallo presenta il Volume Arringheide (Città del Sole, 2018). Con l’autore interverranno Brigida Gullo, autrice RAI, Vittorio Pagliaro, docente di Relazioni politiche internazionali presso l'Università della Campania "Luigi Vanvitelli", Gino Rago, poeta e scrittore calabrese e Piero Putame, sindaco del comune di San Pietro a Maida, la piccola cittadina teatro del racconto nonchè protagonista della mostra che farà da cornice all’evento: sarà esposta infatti la mostra fotografica San Pietro a Maida, di Giuseppina Marinaro Manduca.

IL LIBRO - Na vota quandu tutti sti hfjumari... “Una volta, quando tutte queste fiumare...” ecco l’inizio del poema, come una favola, dove cielo e terra, formano un unico paesaggio, quello della commedia umana, che è l’eterno panorama della Calabria, nei limiti di una storia indefinita perché sempre uguale a se stessa. Siamo oltre il Settecento. Alle nuove urgenze del mondo borghese e contadino si oppone il mondo baronale che tenta un vigoroso ritorno alle angherie e agli antichi privilegi feudali. Ciò che accade in tutto il Sud si verifica anche nella Contea di Maida. Uno dei suoi casali, però, quello di San Pietro, reagisce. Nasce, così,... na guerra, chiddha dell’Arringa tra Santu Pietru, Majìda e Curinga.

LA LOTTA DEL POPOLO - Dalla lotta di popolo emerge un microcosmo di uomini: il Conte Malaspina, Totu lu Rizzu, don Luciu Fabiani, l’abate Mancusu, donna Tresina, tutti con la loro dose di affaticata quotidianità che il poeta raccoglie come testimonianza di vita. Allora “Supra lu Ponte”, “Avanti Grassu” Corda e Campuluongu diventano il teatro di lotte fratricide, di eroismi e comicità. Da questa sarabanda non si salva nessuno, né San Francesco di Paola né San Nicola da Bari, nemmeno la Madonna del Carmine. Qui non c’è frattura tra paradiso e inferno. Qui, ciò che non è storia per la cultura dominante, è storia concreta per uomini di carne. Emblematica la figura di Cheli, il muto, “lu gghjegghju”, “lu scilinguatu” del paese, che attraverso una serie di peripezie riacquista la parola. Metafora plurisecolare del calabrese? Per avere diritti bisogna possedere il linguaggio, ascoltare la propria voce e quella degli altri. “Non tacebo”, era il motto del nostro Tommaso Campanella. Ma chi lo ricorda più? In questo poema finalmente si parla. Soprattutto le donne! Una lingua a volte dura, aspra e tagliente “cuomu li savurri”, il pietrisco; a volte fluida e dolce “cuomu lu cannamele”, il miele. La lingua!

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