ROMA – Il 2016 verrà sicuramente ricordato come uno degli anni più movimentati per quanto riguarda la politica italiana ed estera. Durante i 366 giorni (anno bisesto, anno funesto…), infatti, si sono ribaltate molte situazioni che hanno lasciato increduli anche i sondaggisti e gli addetti ai lavori. Tra gli eventi più importanti che il 2016 porta con sé ci sono, senza ombra di dubbio, tre momenti chiave disseminati in nazioni diverse: la vittoria del fronte antieuropeista nel Regno Unito che ha portato alla ormai celeberrima Brexit, l’elezione di Donald Trump come presidente degli Stati Uniti d’America e il successo del “NO” al Referendum Costituzionale in Italia proposta dal Governo Renzi. Seppur lontani tra loro, questi tre eventi politici possono essere collegati da un filo rosso. Nel Regno Unito, in Italia e negli USA, infatti, sembrerebbe prendere sempre più piede un movimento populista, stanco di vecchi schemi politici, che vede in un cambiamento radicale l’unica via d’uscita per le sorti dei singoli Paesi, europei e non.
BREXIT, IL REGNO UNITO SALUTA L’EUROPA – Già fuori dall’Unione Monetaria Europea, che aveva fatto mantenere la Sterlina al posto della moneta unica Euro quasi 20 anni fa ormai, il Regno Unito ha sancito la totale separazione anche dall’Unione Europea. Lo scorso 23 giugno, infatti, il popolo della Regina, compresa Gibilterra, ha votato per il 51,9% a favore dell’uscita dall’UE contro il 48,1% che preferiva una permanenza continuativa all’interno dell’organo di Bruxelles. Il voto, oltre a manifestare una spaccatura all’interno del Regno Unito (Inghilterra e Galles favorevoli ad uscire, Scozia e Irlanda del Nord hanno votato per rimanere), ha portato alle dimissioni del primo ministro David Cameron, che è stato sostituito il 13 luglio da Theresa May. In questo caso il populismo ha chiesto aria nuova, a livello economico e, appunto, politico, per il Regno Unito portando di fatto lo scenario amministrativo interno in una situazione di incertezza.
USA, LA VITTORIA A SORPRESA DI TRUMP – Dopo otto anni gli Stati Uniti d’America tornano in mano al Partito Repubblicano. L’8 novembre scorso l’ondata di populismo che sembra attraversare lo scenario politico mondiale ha toccato anche il nuovo continente. Dopo una lunga campagna elettorale, iniziata tra lo scetticismo generale il 16 giugno 2015 e conclusa con un trionfo quantomeno inatteso, Donald Trump è stato eletto come 45° presidente degli Stati Uniti d’America. Il tycoon newyorkese ha avuto la meglio sulla candidata del Partito Democratico Hillary Clinton, raccogliendo ben 13.406.000 voti, che lo rendono il candidato più votato della storia repubblicana; il precedente primato apparteneva a Jorge Bush con 12.000.000 di voti nel 2000. La scelta ha portato con sé molte polemiche, dato che Trump è stato accusato più volte di voler introdurre negli States regole al limite del razzismo etnico (colpendo particolarmente latini e immigrati) e della discriminazione femminile. Nonostante tutto, però, il cambiamento è opera degli americani, che non hanno voluto dare continuità ad un governo democratico. Emblematico, in tal senso, come Trump sarà il primo presidente a non aver mai ricoperto in precedenza una carica politica, amministrativa o un grado militare. Prima di lui, infatti, ci sono stati capi di stato che hanno ricoperto cariche importanti. In ambito militare come non ricordare George Washington (Comandante in capo dell'Esercito continentale) e Dwight Eisenhower (Comandante generale della NATO); incarichi amministrativi, invece, per Theodore Roosevelt e Thomas Jefferson (vice presidente degli Stati Uniti), così come per Richard Nixon e Gerald Ford. Innumerevoli, infine, le cariche politiche per i futuri presidenti come Barack Obama (Senatore per l'Illinois), Jimmy Carter (Governatore della Georgia) e Abraham Lincoln (deputato per l’Illinois).
RENZI, UN NO CHE TAGLIA LE GAMBE – Ultimo in ordine temporale è lo stravolgimento politico che potrebbe abbattersi, con tutta probabilità, sull’Italia. La vittoria (schiacciante visto il 60% di preferenze) del NO al Referendum Costituzionale, ha di fatto sancito, come dichiarato dallo stesso presidente del Consiglio poche ore dopo il voto, la caduta del Governo guidato da Matteo Renzi. L’ex sindaco di Firenze aveva in qualche modo “politicizzato” il Referendum del 4 dicembre parlando di dimissioni in caso di sconfitta per il SI, rendendo di fatto la scelta più personale che relativa ad un mutamento del testo costituzionale. A questo punto, quasi automaticamente, le forze populiste hanno spinto per il cambiamento. Non di certo quello della Costituzione, ma quello del presidente del Consiglio. Ad influire in maniera decisiva sulle sorti dell’esecutivo Renzi potrebbe essere stata la mancata elezione diretta, più volte rivendicata da gran parte degli elettori e alimentata incautamente da diverse correnti politiche. La poca chiarezza, in alcuni punti focali, della riforma e alcune decisioni riguardanti leggi sul lavoro potrebbero aver fatto il resto.
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