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Is China losing ground?

Il Dragone si è arenato?

di Eleonora Mallone

Academics foresaw it, journalists warned us: China might loose its appeal to foreign investors in the next future. It is hard to believe, if considering that China is the world second largest FDI recipient after the US (121 billion US Dollars in 2012, according to UNCTAD). However, Chinese Communist Party (CCP) leadership must now be careful not to step its foot on the wrong stone, to say it in terms of Deng Xiaoping's 1978 policy of “crossing the river by touching the stone”.

When China opened to the world, it established itself as the “factory of the world” and integrated in the global production chain as the low-cost manufacturing end. Foreign firms attracted by abundant cheap labour force, low fiscal pressure and lack of environmental regulation have been investing in China at an amazingly growing pace. However, as China's economic policy followed a gradual approach aimed at achieving economic growth in the short term, consequences have been so far overlooked.

As far as the outsourcing of production is concerned, three main issues arose for foreign firms investing in China. First of all, the implementation of the one-child policy led to a considerable ageing of the population and the consequent raise in wages. Furthermore, a generation of educated but inexperienced only children who would not settle for underpaid humble jobs as their uneducated, rural migrant counterparts of the 1990s – early 2000s emerged. Since the unskilled labour force employed in low-skill manufacturing processes cannot help China in upgrading to a higher level in the global production chain, cost of skilled labour will also inevitably rise. In the end, it will be more convenient for foreign firms to move to other developing countries.

Second, environmental pollution. China is now facing huge environmental problems involving serious water shortage and heavy air pollution. Debates among the emergent Chinese civil society, usually carried out on the Internet, tend to blame foreign companies (right after the Chinese government) for having outsourced, together with their production, also their pollution.

Third, the Government has been so far encouraging foreign investments through relaxed fiscal policies in order to allow Chinese companies to acquire skills, technologies and know-how (as a matter of fact, that is the reason why joint venture were the most encouraged forms of foreign investment in the first place). However, large domestic private companies are now emerging as direct competitors of foreign companies (unlike large state-owned business groups, that usually deal with business related to fields in which foreign investments are restricted). Chinese government needs to sustain private enterprises to prevent rising, powerful and potentially unhappy interest groups from undermining its political authority and, at the same time, keep foreign companies and  their money in.

This last issue not only affects foreign companies producing in China, but also companies that entered Chinese domestic market and that already saw a decrease in their profits after the global financial crisis of 2008.

The new political elite of CCP must then be able to take measures to address all those problems and at the same time keep a balance between foreign companies, domestic companies and the emerging civil society without loosing the pace of China's economic growth, the first source of legitimacy of the CCP political power.

 

 

Gli accademici l'hanno previsto, i giornalisti ci hanno avvisato: la Cina potrebbe perdere il suo fascino agli occhi degli investitori stranieri. Difficile da credere, se si pensa che la Cina è il secondo Paese al mondo a beneficiare maggiormente dagli investimenti stranieri (121 miliardi di dollari nel 2012, secondo l'UNCTAD), preceduto solo dagli Stati Uniti. Tuttavia, il Partito Comunista Cinese (PCC) dovrà prestare attenzione a non mettere il piede sulla pietra sbagliata, per dirla nei termini metaforici della politica messa in atto da Deng Xiaoping di “attraversare il fiume tastando le pietre”.

 

Quando la Cina si è aperta al mondo, si è imposta come la “fabbrica del mondo” e si è integrata nella catena di produzione globale come base di produzione low-cost. Le società straniere, attratte dall'abbondanza di manodopera a basso costo, dalle agevolazioni fiscali e dalla mancanza di regolamentazione in materia ambientale hanno investito in Cina con un ritmo incalzante. Tuttavia, poiché le politiche economiche della Cina hanno seguito un approccio graduale mirato ad una crescita economica nel breve termine, molte conseguenze sono state trascurate.

 

Per le aziende che hanno esternalizzato la produzione, sono sorti tre problemi principali. In primo luogo, l'attuazione della politica del figlio unico ha condotto all'invecchiamento della popolazione e a un conseguente aumento dei salari. Inoltre, è emersa una generazione di figli unici istruiti ma privi di esperienza che, a differenza dei loro connazionali provenienti dalle aree rurali e privi di istruzione degli anni '90 – primi 2000, non è propensa ad accettare lavori umili e sottopagati. Dal momento che la manodopera sotto-qualificata non è in grado di aiutare la Cina a spostarsi più in alto nella catena di produzione globale, il costo della manodopera qualificata aumenterà a sua volta. Alla fine, potrebbe diventare più conveniente per le aziende straniere spostarsi in altri paesi in via di sviluppo.

In secondo luogo, l'inquinamento. La Cina sta affrontando gravi problemi ambientali legati alla mancanza di acqua e a un crescente inquinamento atmosferico. I dibattiti all'interno dell'emergente società civile cinese – spesso portati avanti su Internet – tendono a dare la colpa alle società straniere (subito dopo che al governo) per aver esternalizzato, oltre alla loro produzione, anche il loro inquinamento.

Infine, il governo cinese ha finora incoraggiato gli investimenti stranieri attraverso una politica fiscale rilassata, con l'obiettivo di facilitare le imprese cinesi nell'apprendimento di capacità, know-how e tecnologie (di fatto, questo spiega perché le forme societarie predilette per gli investimenti stranieri sono state, per lungo tempo, le joint venture con aziende cinesi). Tutta via, grandi aziende private cinesi stanno emergendo come dirette rivali delle aziende straniere (a differenza dei grandi business group statali, che di solito operano in settori in cui gli investimenti stranieri sono soggetti a restrizioni). Il governo cinese dovrà sostenere le società private per prevenire l'emergere di nuovi, potenti e potenzialmente scontenti gruppi di potere che potrebbero mettere a repentaglio il suo potere politico e dovrà, allo stesso tempo, mantenere le aziende straniere e i loro soldi nel territorio nazionale.

Il problema della competizione interna non affligge solo le società che hanno esternalizzato la produzione in Cina, ma anche quelle che hanno scelto di entrare nel mercato cinese e che già avevano visto i loro profitti diminuire con la crisi globale del 2008.

La nuova elite politica del PCC dovrà quindi essere in grado di adottare misure mirate alla risoluzione di tali problemi e, contemporaneamente, mantenere l'equilibrio tra società cinesi, società straniere e società civile. Il tutto senza perdere il ritmo di crescita economica, che al momento è la più importante forma di legittimazione della sua autorità politica.

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