ROMA - La fase 2 è iniziata: 4,4 milioni di lavoratori sono tornati al lavoro, mentre per 2,7 milioni circa bisognerà attendere ancora. Nonostante l’entusiasmo generale, c’è chi comunque alza delle questioni sul come si sia deciso di affrontare la ripresa. L’Ordine dei Consulenti del Lavoro ha deciso di sollevare il dubbio, sottolineando che da ieri sono tornati a lavorare soprattutto gli over 50 e in prevalenza nel Nord Italia. Quindi, le fasce di lavoratori più giovani (e meno a rischio di contagio) e le zone più meridionali del Paese (dove il contagio è minore) sono quelle che, paradossalmente, non sono tornate a lavorare.
NEL DETTAGLIO - Scavando più a fondo, l’Ordine constata che su 100 addetti fermati dagli ormai famosi DPCM, ieri «il 62,2%" è tornato nuovamente a svolgere la propria occupazione». Di questi, «3,3 milioni sono uomini (il 74,8% del totale), e 1,1 milioni donne (25,2%)». I settori più interessati dalla riapertura sono l’industria, «dove l'attività potrà tornare a pieno regime (col 100% dei settori riaperti)». Dei lavoratori che torneranno a sporcarsi le mani il 60,7% opera «nel settore manifatturiero, il 15,1% nelle costruzioni, il 12,7% nel commercio e l'11,4% in altre attività di servizio».
L’INCOERENZA - A preoccupare i Consulenti del Lavoro, però, è l’incoerenza con cui si è deciso di operare la riapertura. Infatti la ripresa delle attività produttive «si è concentrata proprio nelle aree più interessate dal Coronavirus», perché mentre nel Nord gli occupati sono 2,8 milioni, nel Centro sono solo 812.000 al Centro e 822.000 al Sud.
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