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Arte e Cultura

Mostra personale di Cristiano Carotti

A cura di Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti

di Anna Arena

ROMA - Cosa ha trasformato, nella visione di un artista, l’icona per eccellenza dell’italiano medio vacanziero in un rozzo strumento di autodifesa popolare? Com’è stato possibile che il Mediterraneo tornasse a essere percepito dall’opinione pubblica come un simbolo di paura e minaccia, le emozioni cioè che il mare nostrum suscitava nei marinai di un tempo anteriore alla modernità? Sono queste le domande al centro di Stessa spiaggia, stesso mare la personale di Cristiano Carotti che espone oltre 20 opere e si inaugura il 17 novembre alla White Noise Gallery di Roma, a due anni dallo straordinario successo della precedente Dove sono gli ultras.

LA MOSTRA - Curata da Eleonora Aloise e Carlo Maria Lolli Ghetti, Stessa spiaggia, stesso mare segna il ritorno dell’artista ternano in una delle più interessanti gallerie italiane che nel frattempo ha cambiato sede e passo nelle scelte espositive.

CAROTTI - Artista che si muove fra pittura, scultura, installazione e video, Carotti con questa nuova personale aggiunge un ulteriore tassello alla propria ricerca sulle dinamiche sociali, indagate nelle loro derive più estreme attraverso lo studio del potere archetipico del simbolo all’interno delle comunità.  In particolare, le opere di Stessa spiaggia, stesso mare fanno parte del lavoro legato allo studio del Mediterraneo e dei più recenti flussi migratori che lo stanno interessando. Riprendendo alcuni motivi dei miti classici, riattualizzati secondo la propria poetica, Carotti ci spinge a riflettere sulle reazioni scomposte che questi fenomeni provocano nell’opinione pubblica e sul nuovo significato minaccioso del mare nell’immaginario della società italiana ed europea. Durante il periodo classico le leggende che circondavano il bacino del Mediterraneo vedevano protagonisti terribili mostri e incredibili creature marine che lo governavano e proteggevano: un viaggio in mare a bordo di una trireme era certamente una faccenda pericolosa e figure come Scilla o Cariddi servivano per tenere lontani i naviganti dalle zone più difficili. Oggi, parole come "invasione” e “conquista” hanno preso il posto “naufragio” e “mulinello” come nuovo vocabolario della paura legata al mare. E così, un pedalò, icona nazional-popolare delle agognate ferie, delle vacanze più spensierate, diventa, fra le mani di Carotti che lo arma e lo militarizza, lo strumento goffo e ridicolo di chi si lascia coinvolgere dalla paura, pretestuosa e forcaiola, dei migranti. Di chi esulta di fronte all’agghiacciante frase “bisognerebbe affondarli in mare”. Opera che riassume in sé gran parte del senso di questa mostra, il pedalò armato dal titolo Seagull SS17 (165x390x220cm, metallo, plastica, smalto – 2018) è un’installazione in grado di mostrare la doppia faccia dei nuovi fenomeni xenofobi legati ai movimenti populisti: uno strumento rozzo ed inappropriato ma al contempo pericoloso e minaccioso. Il mezzo perfetto per il cittadino qualunque in procinto di  affrontare un mare nuovamente pieno di mostri mitologici.

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