BRASILIA - Lottano per le foreste e dei fiumi, come fa Geovani, leader e portavoce del popolo Krenak, nel Sud Est del Brasile. Proteggono i più deboli e i perseguitati, la propria comunità, le minoranze discriminate, i diritti dei lavoratori. Hanno scelto di sacrificare la propria sicurezza, la propria incolumità, in alcuni casi persino la propria vita. Ma senza mai definirsi “eroi”.
LA FRASE - “Non sono un eroe”. Questa frase ricorre spesso nelle conversazioni con gli attivisti per i diritti umani che Lorena Cotza e Ilaria Sesana hanno raccolto nel libro “Non chiamatemi eroe. Storie di ribellione, resistenza e coraggio. Per difendere i diritti umani ad ogni costo”, in libreria per Altreconomia edizioni. Storie a volte dolorose, che oscillano tra la cronaca e il ritratto personale: uomini e donne “normali” che - in modo nonviolento - mettono la propria vita al servizio di una causa.
DIFENDERE - I difensori e le difensore dei diritti umani si possono definire testimoni scomodi, pietre d’inciampo, lottatori pacifici: persone che - spesso lontano dai riflettori e in aree remote del pianeta - rischiano la vita per proteggere i più deboli, la propria comunità, le minoranze discriminate, i diritti dei lavoratori e dell’ambiente. Si stima che dal 1998 - anno in cui fu siglata la Dichiarazione ONU sugli “human rights defenders” - siano stati uccisi almeno 3.500 attivisti, 321 nel solo 2018 e un numero indefinito è stato arrestato, detenuto, torturato.
ROMA – Ancora arbitro protagonista in Serie A. Nel corso di Roma-Genoa, valevole per la 24ª giornata del massimo campionato, il signor Rosario Abisso annulla, dopo la consultazione del...
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