PADOVA - Un passo avanti per comprendere il motivo per cui le PFAS alterino la fertilità di uomo e donna. Gli effetti delle sostanze perfluoroalchiliche (PFAS) sul sistema endocrino-riproduttivo maschile e femminile sono stati riportati da diversi studi scientifici, a partire da quelli del gruppo di ricerca guidato dal prof. Carlo Foresta dell’Università di Padova, in cui sono riportate alterazioni riproduttive nei giovani maschi e femmine dell’area rossa ad alto inquinamento da PFAS in Veneto. In particolare, nel sesso femminile l’esposizione a queste sostanze si associa a più frequenti irregolarità mestruali e ritardi della pubertà nelle adolescenti, fino un maggior rischio di aborti in donne adulte.
L'INCIDENZA - La Direzione Prevenzione dell’Area Sanità e Sociale della Regione del Veneto ha recentemente diffuso una serie di informazioni aggiornate sull’incidenza dell’inquinamento da PFAS sugli esiti materni e neonatali, contenute nell’aggiornamento dello Studio sugli Esiti Materni e Neonatali in Relazione alla Contaminazione da Sostanze Perfluoro Alchiliche, a cura del Registro Nascite – Coordinamento Malattie Rare Regione Veneto. Lo studio mette a confronto alcuni esiti materno-infantili tra aree a diversa esposizione, basandosi sull’andamento delle gravidanze di donne residenti nelle aree inquinate e sulla salute dei rispettivi nati, con copertura pressoché totale della popolazione presa in esame.. I risultati ottenuti riportano un incremento di pre-eclampsia, diabete gravidico, di nati con basso peso alla nascita per età gestazionale (SGA).
FINE REGOLAZIONE - Tutte le sopracitate manifestazioni cliniche condividono una fine regolazione da parte degli ormoni riproduttivi, tuttavia i meccanismi biologici coinvolti nell’alterazione riproduttiva sono ancora ampiamente ignoti.
LA PRIMA PUBBLICAZIONE - Un anno fa era stata diffusa la prima scoperta del gruppo del professor Carlo Foresta, che definiva il meccanismo attraverso il quale i Pfas alterano sia lo sviluppo del sistema uro-genitale che la fertilità del maschio, interferendo con l’attività del testosterone. Sostanzialmente, l’organismo li scambia per ormoni: inevitabilmente mutano l’azione delle ghiandole endocrine, causando una serie di malattie.
UNA NUOVA EVIDENZA - Dopo quella pubblicazione, il gruppo di ricerca dell’Università di Padova propone alla comunità scientifica una nuova evidenza: le patologie riproduttive femminili (ad esempio alterazioni del ciclo mestruale, endometriosi e aborti, nati pre-termine e sottopeso) possono essere correlate all’azione dei Pfas sulla funzione ormonale del progesterone, ormone femminile che agisce a livello dell’utero. Il progesterone è un ormone che viene prodotto durante la seconda metà del ciclo mestruale e svolge importanti funzioni per la salute femminile, tra cui quello di garantire la regolarità del ciclo mestruale. Il suo ruolo principale è quello di creare un ambiente accogliente all’interno dell’utero, favorendo l’impianto dell’embrione e il mantenimento della gravidanza. «Il nostro studio – spiega Foresta - dimostra che i PFAS sono in grado di interferire sulla funzione del progesterone a livello dell’endometrio, giustificando l’elevata frequenza di irregolarità mestruali e di aborti precoci riscontrata nelle donne provenienti da aree contaminate».
LA DIMOSTRAZIONE - A questo risultato si è giunti dopo due anni di lavoro del gruppo di ricerca dell’Università di Padova, coordinato dal professor Carlo Foresta e dal dottor Andrea Di Nisio e la dott.ssa Manuela Rocca, che ha valutato l’effetto dei Pfas sull’azione del progesterone analizzando, in cellule endometriali in vitro, come i Pfas interferiscano vistosamente sulla regolazione dei geni espressi a livello dell’endometrio . In particolare è stato dimostrato che, su più di 20.000 geni analizzati, il progesterone normalmente ne attiva quasi 300, ma in presenza di Pfas 127 vengono alterati e tra questi quelli che preparano l’utero all’attecchimento dell’embrione e quindi alla fertilità. «La mancata attivazione di questi geni da parte del progesterone altera le importanti funzioni coinvolte nella regolazione del ciclo mestruale e nella capacità dell’endometrio di accogliere l’embrione – conclude Foresta - e quindi giustificano la difficoltà di concepimento, la poliabortività e la nascita pre-termine».
LA SVOLTA - La svolta dello studio del team di Padova è appunto quella di aver individuato il meccanismo che è alla base dello sviluppo di questi fenomeni. «A questo punto la comprensione di una interferenza importante dei Pfas sul sistema endocrino-riproduttivo sia maschile che femminile e sullo sviluppo dell’embrione, del feto e dei nati, - spiega il professor Foresta - suggerisce l’urgenza di ricerche che intervengano sui meccanismi di eliminazione di queste sostanze dall’organismo soprattutto in soggetti che rientrano nelle categorie a rischio. Allo stato attuale a livello internazionale non ci sono ancora segnalazioni, pertanto è preoccupante pensare che la lunga emivita di queste sostanze possa influenzare negativamente tutti questi processi, anche nelle generazioni future».
I NUOVI SCENARI - «In quest’ottica, - prosegue Foresta - la nostra ricerca apre scenari di trattamento innovativi in quanto è buona pratica clinica, laddove sia presente una difficoltà al concepimento a causa di fattori di rischio che intervengono sulla funzionalità del progesterone, somministrare a queste donne una terapia farmacologica con progesterone esogeno. In questo scenario di ridotta capacità funzionale di questo ormone a causa dell’azione inibente dei PFAS, si può ipotizzare un trattamento similare anche nelle donne residenti in zone esposte e che sono desiderose di prole, per ridurre gli effetti negativi indotti dagli PFAS a livello dell’endometrio uterino».
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