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Silvia Romano, il clamore che non serviva

Silvia Romano, il clamore che non serviva

Il caso mediato del momento sta scoprendo il lato più brutto del popolo italiano

di Matteo Spinelli

Silvia Romano, la cooperante di una onlus rapita in Kenya nei pressi del villaggio di Chakama nel 2018, ha fatto il suo rientro in Italia lo scorso 11 maggio 2020, dopo aver trascorso circa 18 mesi in stato di sequestro. Questo, ormai, è cronaca. Una notizia positiva di per sé, che dovrebbe riempire i cuori e la mente di gioia. Una figlia che torna a casa e riabbraccia i suoi cari dopo l’inferno della prigionia; per di più nel giorno della Festa della Mamma. Uno scenario quasi da film a lieto fine. Eppure, come nel più classico dei teatrini italiani del 21° secolo, tutto questo comporta chiacchiere, critiche e, quel che è peggio, disdicevoli auguri di morte e minacce per la Romano.

La fake news (sempre più confermata come “bufala”) di un possibile riscatto pagato per la sua liberazione, la sua conversione alla fede islamica (come se un cambio di religione possa ancora far giudicare una persona) durante la prigionia ed il grande caso mediatico creato intorno al rientro in Italia della cooperante milanese, hanno tracciato il quadro preciso del nostro Paese. Una nazione carica di rabbia (ingiustificata) contro una ragazza che ha avuto solo una colpa: essere liberata dalla prigionia.

Quello legato a Silvia Romano – visto anche il momento delicato che sta attraversando il nostro paese – è un clamore che non possiamo permetterci. In un periodo storico in cui sventoliamo a destra ed a manca il nostro amore fraterno per tutti, poi ci scagliamo contro una giovane ragazza rientrata da una lunga prigionia durata quasi un anno. Perché tutto ciò?

Di sicuro il rientro in pompa magna (non per sua colpa, intendiamoci) dall’Africa non ha certo aiutato. Almeno 24 ore prima, infatti, tutti già sapevamo che Silvia sarebbe rientrata con un volo diretto all’aeroporto romano di Ciampino. Perché? A cosa è servito? Non sarebbe stato più giusto accogliere Silvia in un’area protetta del terminal? L’affetto dei suoi cari, un saluto istituzionale e poi via verso casa a godersi il calore familiare senza mettersi alla berlina di chi, diciamocelo chiaramente, non aspettava altro che speculare su certe immagini; e – non me ne voglia il nostro Premier Giuseppe Conte – non faccio nomi.

Al tempo stesso l’arrivo a Milano è stato ugualmente troppo celebrato. Centinaia di persone – proprio in un momento dove ci si chiede il distanziamento sociale, pensate il paradosso – erano assiepate sotto l’appartamento meneghino di casa Romano. Anche qui, come sopra, gli sciacalli mediatici non hanno perso tempo a puntare il dito.

Silvia ora è a casa – e questo è ovviamente ciò che più conta – ma le tutele che uno Stato deve ad una persona appena liberata da un rapimento sembrano essere venute meno. Silvia è libera dai suoi rapitori, ma è caduta nella morsa degli sciacalli. Quelli che – spesso occupando anche gli scranni del nostro Parlamento – speculano e sparano a zero su qualsiasi cosa possa essere utile per il loro tornaconto politico o di immagine. Una razza di gran lunga peggiore.

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