Caso Toti: la questione giudiziaria
ROMA – Il caso del governatore della Regione Liguria Giovanni Toti, agli arresti domiciliari, da indagato, oramai da oltre due mesi, sta occupando da giorni le prime pagine dei quotidiani e scatenando, su più fronti, polemiche particolarmente aspre. Le valutazioni sulla sussistenza dei presupposti previsti dal c.p.p. (gravi indizi di colpevolezza, unitamente a una o più delle tre esigenze cautelari: pericolo di inquinamento della prova, di fuga e di reiterazione del reato) affinché possa trovare applicazione, in via preventiva, la misura restrittiva della libertà personale, stanno diventando, rispetto alla vicenda Toti, un esercizio così diffuso che, purtroppo, finisce per far passare in secondo piano l’aspetto umano della stessa. Non bisognerebbe mai dimenticare, infatti, che in un Paese in cui vige il principio, solennemente affermato dalla Carta costituzionale (art. 27, co. sec.), secondo cui l’imputato – ossia la persona a cui sia stato già attribuito il reato nell’imputazione formulata con la richiesta di rinvio a giudizio e che resta tale in ogni stato e grado del processo sino a quando la sentenza di non luogo a procedere non sia più oggetto di impugnazione ovvero sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna – e non un “semplice” indagato come Toti, «… non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva», non vi dubbio che l’applicazione di una misura di sicurezza dovrebbe sempre comportare l’esigenza di una rigorosa e attenta applicazione del principio di proporzionalità secondo cui, in sintesi, la misura stessa deve essere proporzionata alla gravità dei fatti contestati e adeguata in relazione al grado di esigenze cautelari da soddisfare, in un’ottica di ragionevole bilanciamento con la pluralità di diritti della persona a cui infliggerla. Esemplare, in tal senso, la sentenza della Consulta 3 giugno 1999, n. 206 che, con riferimento a una misura cautelare prevista da una disposizione normativa sottoposta al vaglio di costituzionalità, afferma che la stessa “… proprio perché … tendente a proteggere un interesse nell’attesa di un successivo accertamento …, deve per sua natura essere contenuta nei limiti di durata strettamente indispensabili per la protezione di quell’interesse, e non deve essere tale da gravare eccessivamente sui diritti che essa provvisoriamente comprime. Se eccede da tali limiti, è suscettibile di una valutazione di illegittimità costituzionale per l’ingiustificato sacrificio, che essa comporta, dei diritti del singolo.”. E come evidenzia magistralmente il prof. Sabino Cassese, in un parere espresso di recente su richiesta dello studio legale che assiste Toti, quando la persona a cui applicare la misura cautelare è anche titolare di una carica elettiva, essa dovrebbe essere ponderata anche con ulteriori elementi, elementi che attengono “… all’esigenza di giustizia: il buon andamento della pubblica amministrazione, che richiede di assicurare la continuità dell’azione amministrativa; l’investitura popolare, che impone di considerare il rispetto delle scelte compiute dall’elettorato; lo “ius in officio” di terzi che hanno una situazione giuridica attiva a mantenere l’ufficio.”.