Olimpiadi 2024: quale bilancio?
PARIGI – Con 40 medaglie complessive – 12 ori, 13 argenti e 15 bronzi – alle Olimpiadi 2024 di Parigi eguagliamo il record delle Olimpiadi di Tokio 2020 – in realtà disputate nel 2021, con 10 ori, 10 argenti e 20 bronzi – ma miglioriamo il piazzamento finale nel medagliere, passando dalla X alla IX posizione, e soprattutto portiamo a casa 2 ori e 3 argenti in più, con il numero delle finali raggiunte che passa da 67 a 79.
Ma sono stati anche i giochi olimpici in cui, come nei precedenti, gli azzurri 16 giorni su 16 sono andati a medaglie e nei quali il medagliere si è distribuito su 19 sport, con il metallo più pregiato che è arrivato nella vela (2, con la coppia Caterina Banti e Ruggero Tita e con Marta Magetti), nel nuoto (2, con Thomas Ceccon e con Nicolò Martinenghi), nella canoa slalom (1, con Giovanni De Gennaro), nel ciclismo su pista (1, con la coppia Chiara Consonni e Vittoria Guazzini), nella ginnastica (1, con Alice D’Amato), nel judo (1, con Alice Bellandi), nella scherma (1, nella spada con la squadre femminile), nel tennis (1, con la coppia Sara Errani e Jasmine Paolini), nel tiro sportivo (1, con la coppia Diana Bacosi e Gabriele Rossetti) e nella pallavolo (1, con la squadra femminile). Rimanendo agli ori e limitandoci alle sole olimpiadi post II guerra mondiale, siamo tuttavia dietro sia al record di Los Angeles 1984 (14), sia a Roma 1960 (13), Atlanta 1996 (13) e Sydney 2000 (13). Ma sono state anche le olimpiadi in cui l’Italia, con 20 quarti posti centrati, si è messa al collo la bistrattata «medaglia di legno» più di ogni altro Paese, piazzamenti che, a ben vedere, sono lì a testimoniare la competitività del nostro movimento sportivo.
Bilancio positivo o negativo? Se si guarda ai soli numeri, avendo in qualche modo migliorato Tokio 2020, che per l’Italia è stata una spedizione storica, il bilancio non può che essere positivo. Ma si sa, il conto è più o meno positivo anche in ragione delle aspettative della vigilia e della “pesantezza” di certe medaglie, perché non è vi è dubbio che alcune medaglie, in ragione del fatto che non tutte le discipline sportive sono praticate e/o seguite dal grande pubblico allo stesso modo, pesano più di altre quanto a pregio e a considerazione complessiva. In tal senso, la sola constatazione che nelle Olimpiadi di Tokio 2020 la metà degli ori, ben 5 su 10, erano arrivati dall’atletica leggera – suddivisa nelle 5 discipline principali delle corse, delle marce, dei salti, dei lanci e delle prove multiple, con gli ori leggendari (irripetibili?!) nei 100 metri e nella staffetta 4×100 nonché nel salto in alto maschile, oltre agli ori comunque nobili nella 20 km di marcia maschile e femminile – mentre a Parigi 2024 l’atletica ha incarnierato soli un argento (nei 10.000 metri femminili) e due bronzi (nel salto triplo e nel salto in lungo maschili), dà la misura dell’evidente arretramento nello sport olimpico per eccellenza e quindi di come, consequenzialmente, una valutazione positiva del bilancio possa subire un chiaro contraccolpo. Così come non vi è dubbio che mancano all’appello delle medaglie di pregio che l’Italia sportiva intera, alla vigilia, già pregustava e che invece, per ragioni diverse, sono mancate all’appello, con tanto di associate discussioni (si pensi al singolare maschile di tennis, con il questionato forfait di Sinner, alla pallavolo e alla pallanuoto maschile).
Ma sono state anche le Olimpiadi delle polemiche tra cui, senza seguire una sequenza cronologica: quella della Senna, location non solo della cerimonia di apertura ma anche di alcune gare, inquinata oltre il limite nonostante gli 1,5 miliardi spesi per migliorarne la situazione; quella degli arbitraggi ritenuti scandalosi, che avrebbero penalizzato alcuni atleti azzurri nella scherma, nel judo e nella boxe; quella riguardante il Presidente del CONI Malagò, di fatto “licenziato” pochi giorni fa dal Ministro dello Sport Abodi che dichiarava che il ciclo di Malagò poteva dirsi giunto al termine con questi giochi; ma soprattutto quella che ha accompagnato dall’inizio fino alla vittoria della medaglia d’oro la pugile algerina Imane Khelif, accusata di essere un uomo o un transgender o un maschio sotto il profilo biologico (ossia con caratteri sessuali secondari, a partire dalla struttura corporea, non in linea con quelli di una femmina) e, per questo, non solo di aver alterato la regolarità della competizione sportiva ma anche di aver messo a repentaglio la sicurezza delle atlete affrontate. Una vicenda squallida, sotto ogni profilo, tenuto conto che c’è di mezzo comunque la dignità di un essere umano, su cui per giorni si sono scritti decine di articoli, che ha rappresentato l’ennesima occasione persa da parte di molti (dirigenti sportivi, atleti e politici) per evitare deplorevoli strumentalizzazioni, soprattutto quando non si è in possesso di dati certi e mancano delle regole che stabiliscano chiaramente il confine tra ciò che è consentito e ciò che non è consentito.
La chiusura di questo articolo, tuttavia, non può non essere dedicata all’Italvolley femminile guidata da Julio Velasco, che travolgendo in tre set gli Stati Uniti campioni olimpici in carica, ha conquistato nell’ultima giornata dei giochi la medaglia d’oro. Un’impresa questa straordinaria, con le azzurre che hanno fatto una gara perfetta, da incorniciare e passare in rassegna in ogni luogo in cui si insegni la pallavolo, che hanno sfatato un vero e proprio tabù: mai infatti, né in campo maschile, né in quello femminile, gli azzurri del volley avevano raggiunto il gradino più alto del podio olimpico. La sorte ha voluto che sia stato proprio il CT Velasco a guidare le nostre atlete nella realizzazione di un vero e proprio capolavoro sportivo, lui che con gli uomini del volley, ad Atlanta 1996, vide spegnersi il sogno in finale contro l’Olanda, persa al quinto set.