Confcommercio: resta alta l’incidenza delle spese obbligate sui bilanci delle famiglie

ROMA – Secondo i dati per il 2024 dell’Ufficio Studi di Confcommercio, su un totale di circa 21.800 euro pro capite di consumi all’anno, oltre 9.000 euro (ossia circa il 42%, con un incremento di oltre 5 punti percentuali dal 1995 a oggi) se ne vanno per l’insieme delle c.d. “spese obbligate”, spese che “mangiano” dunque una grossa fetta dei consumi delle famiglie italiane. Tra le “spese obbligate”, un ruolo da protagonista assoluta lo gioca la voce “abitazione” (con 4.830 euro), al cui interno un peso ragguardevole è dovuto alle spese per l’energia, il gas e i carburanti (con 1.721 euro). A rendere ancora più importante l’incidenza delle “spese obbligate” anche il fatto, sempre secondo i dati di Confcommercio, che tra il 1995 e il 2024 l’indice di prezzo dei beni e servizi obbligati è cresciuto più del doppio rispetto a quello dei beni e servizi commercializzabili: +122,7% contro +55,6%, dinamica questa che sarebbe influenzata anche da una scarsa concorrenza tra le imprese fornitrici dei primi. A fronte di tali dati, con le spese obbligate che comprimono i consumi degli italiani e quindi non favoriscono la domanda interna, è arrivato anche il grido di allarme del Presidente di Confcommercio Carlo Sangalli, secondo cui per sostenere i consumi “… occorre confermare l’accorpamento delle aliquote Irpef e ridurre progressivamente, e in modo strutturale, il carico fiscale”.

Va tuttavia rilevato che mentre è in calo l’acquisto di beni commercializzabili come cibi, libri, auto, elettrodomestici, mobili, è in nettissima crescita invece quello di altri beni come i telefoni cellulari, i pc e, in generale, i prodotti multimediali, così come è in crescita, all’interno del comparto del tempo libero, il consumo di servizi ricreativi e culturali, per viaggi, vacanze e alberghi, ma anche per bar e ristoranti. Commentando tali dati, ancora il Presidente Sangalli ha, da un lato, osservato che “La crescita dei servizi e del turismo potrebbero riportare quest’anno i consumi ad un livello di normalità. Consumi peraltro che valgono il 60% del Pil” e, dall’altro, concluso che “L’economia però è in fase di rallentamento e alcuni nodi sono ancora irrisolti. Mancano infatti all’appello un piano di rilancio del Sud, la piena realizzazione di riforme e investimenti del Pnrr e una profonda riforma fiscale in tempi rapidi”.

Insomma, dati quelli riportati che fanno trasparire luci e ombre e che vanno comunque letti anche alla luce di recenti rilevazioni ISTAT, secondo cui se è vero che nel 2023 il reddito disponibile delle famiglie è aumentato del 4,7%, si è tuttavia ridotto, a seguito della consistente crescita dei prezzi, il potere d’acquisto (-0,5%) delle stesse ossia il reddito disponibile delle famiglie espresso in termini reali; così come è calata la propensione delle famiglie al risparmio, che passa dal 7,8% del 2022 al 6,3% del 2023, toccando così il valore più basso dal 1995.

Sulla base dei dati avanti esposti, la riduzione in generale delle “spese obbligate” sostenute dalle famiglie attraverso un aumento della concorrenza nei corrispondenti settori, unitamente alla riduzione del carico fiscale per le famiglie che maggiormente risentono dell’elevata incidenza di tali spese, parrebbe essere la ricetta giusta per rilanciare i consumi di beni e servizi commercializzabili e, con essi, favorire la crescita della domanda interna, del PIL e dell’occupazione.