Bambini sempre più smart? No, sempre più in smartphone!
ROMA – Nel nostro Paese alcuni dati, di recente diffusi, conducono certamente nella direzione della risposta in intestazione: il 20% dei bambini utilizza, entro il primo anno di vita, lo smartphone; l’80% dei bambini, tra i 3 e i 5 anni, è in grado di utilizzare lo smartphone dei genitori.
Dati, quelli riportati, che sono già fonte ispiratrice di molteplici riflessioni, cui inevitabilmente se ne associano altre, legate al fatto che il passo immediatamente successivo all’utilizzo dello smartphone è l’accesso a internet, ai motori di ricerca, alle piattaforme social, a tecnologie, software e algoritmi vari ossia a strumenti che non sono pensati e progettati per i bambini, da cui possono scaturire delle conseguenze, anche in termini di rischi, per i medesimi.
Le domande che, dalla presa d’atto di tali dati, più spontaneamente affiorano sono:
- – Perché i genitori mettono in mano uno smartphone ai figli già in età dell’infanzia e preadolescenziale (convenzionalmente, rispettivamente, da 0 a 9 anni e da 10 a 14 anni)?
- – I genitori ponderano tale scelta o invece seguono, pressoché meccanicamente, un comportamento via via più diffuso?
La risposta a tali domande e le valutazioni collegate sono proprie di chi scrive ossia di un comune cittadino che, basandosi semplicemente sulle proprie percezioni ed esperienze, non aspira né ad affermare verità in materia, né, tantomeno, a urtare la sensibilità di esperti che, sicuramente in possesso delle migliori conoscenze scientifiche, eventualmente sentissero calpestato dal profano di turno il loro spazio riservato.
Veniamo dunque alle domande, alle relative risposte e alle riflessioni associate.
La risposta alla prima domanda varia, ragionevolmente, in rapporto all’età del bambino. Se questi frequenta la scuola primaria o la secondaria di primo grado la risposta più frequente dei genitori consiste, verosimilmente, nel timore che i figli perdano o vedano limitata la possibilità di interagire con i compagni di classe che già utilizzano lo smartphone. Timore, magari, alimentato dal vittimismo dei figli che, più o meno ad arte, rimarcano l’ingiusta e discriminante, rispetto ai loro coetanei, limitazione cui sono sottoposti e tutti gli effetti negativi che ne conseguono e sono costretti a subire.
Al riguardo, è pacifico affermare che nell’era della digitalizzazione delle relazioni, sia i bambini presi a riferimento, dai 6 a 14 anni, sia i genitori di questi, subiscano una forte “pressione sociale” rispetto all’utilizzo del telefono cellulare da parte dei primi. Infatti, per un verso la paura di esclusione dei bambini, per un altro il timore dei genitori che i propri figli possano cadere in solitudine o isolamento, giocano un ruolo importante nella scelta che quest’ultimi fanno.
Altre volte dotare i figli di un cellulare riflette, soprattutto, la morbosa esigenza dei genitori di poter entrare in contatto con loro per accertare, in particolare quando sono “distanti” dalla sfera di controllo diretto, se tutto proceda regolarmente: esigenza questa comprensibile, tenuto conto dell’ampio ventaglio di rischi e pericoli che la società in cui viviamo generosamente ci offre, anche se a ben vedere soddisfacibile con soluzioni alternative, come i dispositivi familiari condivisi o specifici per le emergenze (telefoni di emergenza senza schermo per bambini o smartwatch per bambini, con cui poter effettuare chiamate e seguire la posizione via GPS).
Nel caso invece di bambini nei primi anni di vita, facendosi obiettivamente fatica a trovare anche una sola ragione plausibile a sostegno dell’utilizzo del cellulare da parte degli stessi, a parere di chi scrive i genitori che lo consentono dovrebbero avere l’onestà intellettuale di dire, senza per questo sentirsi necessariamente esposti a riprensione o censura (da chi poi?), che tale soluzione è per loro il modo migliore per evitare, in certi frangenti, rotture di scatole procurate dai bambini e che, pertanto, il cellulare è il surrogato migliore, a costo limitatissimo in termini comparativi, di un’ottima baby sitter, un sedativo che, somministrato a dosi controllate, non produce danni particolari al bambino interessato.
La risposta alla seconda domanda, se si sta alle risposte alla prima, è che i genitori soppesano la scelta di consentire l’utilizzo del cellulare ai bambini fino all’età preadolescenziale. Il problema, semmai, è capire se tale scelta sia accompagnata da regole relative al tempo di utilizzo, alle app consentite e all’accesso a internet, dalla spiegazione dei potenziali rischi associati alla comunicazione digitale, dall’incoraggiamento delle relazioni faccia a faccia o connessioni sociali di persona. Relativamente a tale ultimo aspetto, il rischio che si corre in assenza dell’incoraggiamento in parola è che anche il semplice uso delle chat possa stratificare l’automatismo che porta, quando si deve dire qualcosa a qualcuno, a farlo scrivendo su whatsapp anche se questi è seduto vicino.
In generale, i genitori che consentono l’utilizzo del cellulare ai figli dovrebbero farlo partendo dalla consapevolezza che impartire loro una adeguata educazione all’utilizzo dei mezzi di comunicazione, ma anche compiere un’attività vigilanza sui medesimi in merito a tale utilizzo, costituisce un vero e proprio dovere educativo, a maggior ragione ove si considerino le possibili ripercussioni, come ci chiariscono gli esperti di cui prima, per i propri (dipendenza tecnologica, impatto negativo sullo sviluppo cognitivo, linguistico e emotivo, cattive abitudini alimentari legate all’iperconnessione e comportamenti sedentari con possibili sovrappeso o obesità, peggiore qualità del sonno e scarso rendimento scolastico, danni alla salute visiva, ecc.) e altrui figli (cyberbullismo, violazione della privacy, ecc.).