Dialetti, la riscoperta e la conservazione: una delle sfide culturali del futuro!

ROMA – È recentissima la notizia secondo cui il Comune di Genova, attraverso un form online, è alla ricerca di cittadini che sappiano parlare, scrivere e leggere in “lingua genovese”. L’obiettivo dichiarato, sulla scorta di un protocollo per la valorizzazione della lingua genovese stipulato dal Comune e dalla “Consulta ligure delle associazioni per la cultura, le arti, le tradizioni e la difesa dell’ambiente”, è quello di sviluppare una serie di iniziative (eventi culturali, concerti, spettacoli, rappresentazioni teatrali, concorsi e rassegne tematiche) tese a preservare la tradizione linguistica locale, ma anche a favorirne la trasmissione alle nuove generazioni.

Un’iniziativa sicuramente meritoria quella intrapresa dal Comune di Genova, in considerazione del fatto che la lingua (il dialetto) di una comunità è indubbiamente un elemento di identità e appartenenza culturale, uno strumento di cultura identitaria, che più di altri riscopre e rivela l’identità sociale ed etnoantropologica di un territorio e quindi il legame, alle radici, che unisce i componenti della comunità che su di esso insiste.

Senza avventurarsi in un complesso e spinoso tentativo di definire i caratteri distintivi dei concetti di lingua e dialetto, che determina spesso dispute e diatribe non solo tra i linguisti e dialettologi italiani, è noto che nel nostro Paese i dialetti costituiscono la normale evoluzione della lingua parlata localmente, che deriva in prevalenza dal latino volgare ma che ha subito anche l’influenza di lingue precedenti o giunte in periodi successivi, in specie a seguito di espugnazioni militari o movimenti migratori.

Su iniziativa dell’Unione Nazionale delle Pro Loco d’Italia, in tutta Italia, a partire dal 2013, il 17 gennaio si celebra la “Giornata Nazionale del Dialetto e delle Lingue Locali” e, pure per questo, negli ultimi anni i dialetti sono stati oggetto di un interesse via via crescente.

L’Italia peraltro, secondo un’indagine dell’Unesco, vanta ben 31 lingue parlate tra l’italiano e i vari dialetti, tra i quali i più parlati sono il veneto e il napoletano, ma anche il friulano, il piemontese, il sardo, il lombardo, l’emiliano e il romagnolo, il siciliano e il ligure; particolare anche un altro dato, relativo a un’analisi ISTAT sia pure abbastanza risalente, secondo cui a parlare solamente la lingua italiana è circa il 46% della popolazione di sei anni e più, mentre più o meno il 32% di essa parla sia l’italiano sia il dialetto, pressappoco il 14% parla prevalentemente il dialetto, e la residua parte ricorre a un’altra lingua.

I dialetti o vernacoli, che differiscono per pronuncia, lessico e sintassi da regione a regione, ma anche all’interno della stessa regione, costituiscono indubbiamente un preziosissimo patrimonio culturale immateriale del nostro Paese e, pur differendo molto dall’italiano standard, sono a tutti gli effetti lingue “sorelle” dello stesso.

Ancora oggi, nonostante l’imposizione dell’uso dell’italiano standard quale lingua “comune” – considerata a ragione, nel processo di unificazione dell’Italia, uno strumento essenziale per la creazione di un’identità nazionale unitaria attraverso la facilitazione delle comunicazioni – il parlare in dialetto, soprattutto in contesti non ufficiali, conserva il suo fascino, in special modo per la forza espressiva e a volte decisamente colorita che è in grado di esprimere.

Ma occorre fare uno sforzo in più per superare definitivamente la tendenza, manifestatasi per decenni, di considerare i dialetti un fenomeno culturale retrogrado del passato, robe da ignoranti, da persone povere con scarsa scolarizzazione e per lo più anziane, anche perché la crescente globalizzazione culturale e della comunicazione nonché il veloce ricambio generazionale rappresentano una minaccia vera, reale, per la salvaguardia e valorizzazione dei diversificati patrimoni linguistici regionali.

In tal senso, una delle sfide culturali del futuro per enti governativi ai vari livelli territoriali, università e associazioni competenti è proprio quella di far passare e affermare il messaggio che la diversità linguistica è uno dei patrimoni immateriali più preziosi di cui disponga l’umanità e che, nel caso del nostro Paese, lo studio, quanto a origini e funzioni, il recupero e la conservazione dei dialetti italiani costituiscono –  esattamente come capita, in un altro campo, quando si rinviene un reperto archeologico – un presupposto irrinunciabile, almeno se vogliamo proteggere il nostro straordinario patrimonio linguistico e, in via relazionata, quello letterario che sullo stesso si basa.