Jannik Sinner, tra i successi Slam e la “spada di Damocle” del caso doping
ROMA – Secondo successo Slam consecutivo per Jannik Sinner che, dopo gli US Open di settembre 2024, conquista, bissando il successo dello scorso anno, gli Australian Open 2025 in tre soli set (6-3, 7-6, 6-3) dopo aver battuto in finale il tedesco Alexander Zverev, numero due del ranking mondiale, e si aggiudica così il suo terzo Slam.
In occasione della seconda Coppa Davis successiva conquistata lo scorso anno dalla nazionale azzurra di tennis, nel raccontare Sinner si rilevava come l’aspetto che più impressiona è la sua sempre più decisiva e risolutiva forza mentale, fattore questo che distingue il tennista italiano numero uno al mondo più della straordinaria forza fisica, precisione, destrezza, coordinazione e resistenza o dell’acume tattico e dei colpi, come il dritto, che qualificano il suo ampio repertorio tecnico.
È l’incomparabile forza mentale che rende Sinner un giocatore assolutamente unico nel panorama tennistico mondiale, capace come è di governare, in virtù della stessa, i match e le inerenti tensioni, di trovare proprio nei momenti di maggiore difficoltà o delicati energie e colpi impensabili, fatto questo che emerge sistematicamente quando gioca i tie break e quindi i punti decisivi per l’aggiudicazione del set e della partita.
È quella stessa forza mentale che poi lo porta a curare in maniera maniacale i dettagli, a programmare l’attività sportiva mettendola a sistema con ogni altro aspetto della sua vita – così da eliminare o attenuare la portata di tutte quelle variabili che ti lascerebbero, al loro verificarsi, in balia degli eventi – ad analizzare in modo ossessivo gli errori compiuti per trarne insegnamento nel costante percorso di ricerca del miglioramento, peculiarità queste che, condite da una perseveranza ai limiti del compulsivo, gli assicurano durante tutto l’arco della stagione continuità di prestazioni e risultati.
È tale ingrediente che, più di tutti, distingue in questo momento Sinner dagli altri campioni del tennis mondiale – alcuni dei quali, come lo spagnolo Carlos Alcaraz, anche più talentuosi e dotati dal punto di vista tecnico – con la sola eccezione del serbo Novak Djokovic che, quanto a forza mentale, nella sua ultraventennale carriera di successi che lo incoronano come il giocatore più vincente della storia del tennis, dimostra ancora oggi di essere a un livello assoluto, ma che rispetto a Sinner sconta i limiti che conseguono ai suoi quasi 38 anni.
Ma la forza mentale di Sinner risulta ancor più sorprendente se si considera che su di lui incombe il rischio concreto di una squalifica, il senso di presentimento generato da una situazione precaria che lo vedrà sottoposto, nel prossimo mese di aprile, al giudizio del Tribunale arbitrale dello sport (TAS), a seguito del ricorso presentato dalla “World Anti-Doping Agency” (WADA) avverso la decisione della “International Tennis Integrity Agency” (ITIA), che assolveva Sinner dall’accusa di doping dopo l’accertata positività al Clostebol (steroide anabolizzante vietato dal codice mondiale antidoping).
Com’è noto, Sinner aveva spiegato che la fonte di detta positività consisteva in una contaminazione da contatto da parte di un membro del suo team che, applicando sulla propria pelle per curare una piccola ferita uno spray da banco contenente Clostebol, produceva una contaminazione transdermica inconsapevole, circostanza questa che, in ragione di un’articolata ricostruzione dei fatti, portava l’ITIA a ritenere che la violazione fosse la conseguenza di una condotta né intenzionale (assenza di dolo, contaminazione accidentale), né colposa o negligente da parte dell’atleta. Senza contare poi che la quantità di steroide riscontrata era così infinitesimale che, sulla base di evidenze scientifiche, non avrebbe potuto in alcun modo modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell’organismo e dunque alterare le prestazioni agonistiche di Sinner (mancanza di effetti dopanti reali). Ciò, tuttavia, la WADA, nel presentare ricorso al TAS, contesta al tennista italiano un comportamento colposo o negligente che avrebbe favorito la sua positività al Clostebol e ne chiede, pertanto, sulla base di quanto previsto dal vigente sistema sanzionatorio per tale fattispecie, la squalifica per un periodo da 1 a 2 anni.
Senza avventurarsi in riflessioni che richiederebbero uno spazio di approfondimento non consentito in questa sede e ferma restando la giustezza dell’applicazione del principio della responsabilità oggettiva ai casi di doping nello sport – secondo cui gli atleti sono i soli e unici responsabili della presenza nel proprio organismo di qualsiasi sostanza vietata, indipendentemente dalla modalità con cui vi sia arrivata o dall’intenzionalità di frodare – non si può tuttavia ritenere che la responsabilità stessa possa essere trasformata, da una iniziale presunzione di colpa, in una colpa a prescindere.
In tal senso, il ricorso della WADA fa pensare a molti che trattasi di una “decisione politica” che rifletta logiche particolari e non dichiarabili, tenuto conto che l’ITIA ha chiaramente accertato non solo che Sinner non si sia dopato, fatto questo assolutamente fuori discussione, ma che non abbia nemmeno tenuto comportamenti colposi o negligenti che possano aver favorito, accidentalmente, la contaminazione.
Sarebbe auspicabile, invece, che le autorità internazionali competenti riflettessero sull’adeguatezza del sistema sanzionatorio previsto per prevenire e condannare il doping nello sport, che sembra non propriamente “sposare” il principio della proporzionalità rispetto alla gravità delle violazioni e alle effettive responsabilità personali e che obiettivamente porterebbe, nel caso di Sinner, a una sanzione di entità sproporzionata, spropositata, irragionevole e quindi ingiusta, perché a parere di chi scrive svincolata dalla gravità della sua condotta e dal disvalore da essa espresso.