Deficit di educazione ai valori: un vero e proprio allarme per la società!

ROMA – Quante volte, nell’affrontare questo o quel discorso, nello sviluppare questa o quella riflessione, abbiamo utilizzato o ascoltato espressioni tipo “i miei valori”, “il quadro valoriale a cui mi ispiro”, “questi giovani non hanno valori”, “questa società è priva di valori o sta perdendo i suoi valori”, “i soldi hanno più importanza dei valori”, “non c’è più rispetto per certi valori”, “è una persona di valori” o altre ancora similari?

Ma in fondo che cosa sono i “valori”?

Istintivamente ci viene da rispondere che i valori sono la nostra “bussola”, lo specchio della nostra coscienza, che ci orienta in ogni condotta o decisione, ciò per cui vogliamo impegnarci nella vita o ancora, in altri termini, i princìpi etici e morali che consideriamo sovrastanti e che utilizziamo anche come criteri per giudicare o valutare comportamenti e azioni.

In tal senso, esistono valori universali, riconosciuti da tutti (libertà, onestà, rispetto, legalità, lealtà, ecc.), ma anche valori che appartengono alla lista personale di ognuno di noi (ad es. gratitudine, tolleranza, solidarietà, amicizia, amore) e che valutiamo come fondamentali nella nostra vita.

Eppure, quotidianamente assistiamo, anche attraverso i fatti di cronaca che ci somministrano i mezzi di informazione, a una preoccupante e palpabile perdita di valori che riguarda strati sempre più diffusi della società, anche sotto il profilo della struttura demografica per età della stessa.

Secondo autorevoli studiosi la risposta al perché di tale fenomeno, quando si palesa in maniera via via più estesa, è chiara: c’è un deficit educativo ai valori.

E la cosa che più di altre ci dà la misura della perdita di valori, sta nel fatto che sono sempre più diffusi comportamenti opposti a quelli che si registrerebbero invece in presenza di valori chiari e definiti, quali: decisioni inconsapevoli e non corrispondenti a ciò che è veramente importante; assenza di un’identità netta; difetto di motivazione e tenacia nel perseguire gli obiettivi; diffusa sensazione di insoddisfazione; perdita di sensibilità e attenzione nei confronti degli altri; mancanza di rispetto verso le persone anziane; maggiore propensione ad assumere comportamenti striscianti o ipocriti; crescente inclinazione a trasgredire il principio di legalità latamente inteso.

Ma come mai assistiamo a un deficit educativo ai valori?

La risposta, anche in questo caso, è semplice: la famiglia e la scuola non svolgono più un ruolo incisivo nell’educazione ai valori.

Semplificando il discorso, che richiederebbe ben altri spazi di narrazione, famiglia e scuola probabilmente non svolgono più appieno tale ruolo perché spesso la prima pensa, a torto, di delegare alla seconda la missione, anche educativa, dei bambini, e poi perché forse trascurano che i bambini – a cui insegnano magari in modo puntuale quali sono i valori e cosa significano – imparano con l’esempio e lo fanno inconsciamente. È bello spiegare i valori, ma occorrerebbe farlo lavorandoci costantemente attraverso esempi concreti.

Quante volte, da genitori, siamo stati nei confronti dei nostri figli troppo permissivi, indulgenti? Abbiamo mai avuto il sospetto che un’eccessiva permissività faccia crescere nei nostri figli la convinzione di poter fare, ovunque, anche al di fuori delle mura domestiche, ciò che vogliono?

Quante volte abbiamo spiegato ai nostri figli il “rispetto” ossia un valore fondamentale, che aiuta anche a comprendere e trasmettere altri valori, e quante volte al loro cospetto abbiamo fornito, concretamente, esempi di rispetto nei confronti di altre persone, di animali, dell’ambiente in cui viviamo?

Ma c’è anche un terzo fattore che sicuramente influisce negativamente sull’emorragia di valori: il sostanziale venire meno del ruolo educativo della “comunità”, nelle sue diverse articolazioni (si pensi, in tal senso, al significativo ruolo svolto in passato dagli oratori, dai ritrovi parrocchiali).

Ce ne parla, sulla scorta della propria personale esperienza, M.E.

“Ai miei tempi – afferma M.E. – i bambini e gli adolescenti temevano il rimprovero, la sgridata delle persone adulte, anziane in particolare, estranee al loro contesto familiare, persone che, soprattutto nelle piccole comunità di periferia, ma anche nei quartieri delle città, erano delle vere e proprie sentinelle che “presidiavano” il territorio ed erano pronte a riprendere, con rigore e severità, ogni parola o condotta fuori luogo; anche quando eventuali loro ragionevoli “richieste” non venivano soddisfatte dal minore, perché tale fatto era indicativo di mancanza di rispetto, di maleducazione. E per di più, quelle sentinelle riferivano l’accaduto direttamente ai genitori del “trasgressore”, con la conseguenza che il bambino o l’adolescente mal capitato subiva le relative punizioni.

Altri tempi indubbiamente – conclude M.E. – con uno stile di vita meno complesso di quello di oggi, contrassegnato dalla digitalizzazione delle relazioni, dalla dipendenza tecnologica da apparecchi come lo smartphone e dal conseguente diradarsi dei rapporti sociali, con i bambini e gli adolescenti che vivevano le strade e le piazze sotto l’occhio vigile delle loro sentinelle, che gli trasmettevano valori anche attraverso il buon esempio”.