Scuola italiana: fondamento o strumento? Il punto sulla nuova proposta del Ministro Valditara

ROMA – L’istruzione scolastica è, in Italia, uno dei punti di massima attenzione sia da parte dell’opinione pubblica sia da parte dei governi che, in maniera spesso troppo frammentata, hanno cercato negli anni di orientarsi su un terreno delicato.  Eppure, nonostante la centralità del tema, la questione rimane ancora aperta, priva di una certa organicità e soggetta, piuttosto, alle tendenze del governo in carica, più attento a farne uno strumento di propaganda che un reale motore di cambiamento.

Basti consultare il Sito del Ministero dell’Istruzione e del Merito per rendersi conto di alcuni dati importanti.

Relativamente all’anno scolastico 2024/2025, infatti, si riporta che sono 7.073.587 gli studenti iscritti, distribuiti in 362.115 classi. Di questi, 785.056 frequentano la Scuola dell’infanzia, 2.170.746 la Primaria, 1.498.498 la Scuola secondaria di I e 2.619.287 quella Secondaria di II grado. Degli studenti delle superiori il 51,4% è iscritto al Liceo, il 31,8% a un Istituto tecnico e il 16,8% a un Istituto professionale.

Da questa rapida rassegna emerge immediatamente come la fetta maggiore di scolari sia concentrata nel primo e nel secondo ciclo di istruzione, a fronte di una scuola dell’infanzia che racchiude una percentuale di appena circa l’11% della popolazione in età scolare.

Non è un caso, quindi, che la maggior parte delle riforme degli ultimi anni abbiano interessato principalmente proprio la Scuola Primaria e quella Secondaria di I e II grado.

Tra gli interventi più incisivi si ricordano quelli del ministero di Letizia Moratti (2001 -2006), che si fa promotrice di un’istruzione incentrata sulle tre “i” (inglese, informatica e impresa) e che tenta di riformare gli ordinamenti scolastici (legge n. 53/2003 – sospesa poi dalla legislatura successiva (D.M. n. 4018/2006), quello del Ministro Fioroni (2006-2008) che modifica le  norme sullo svolgimento dell’esame di Stato (Legge n. 1/2007) non ammettendo gli studenti con debiti formativi e ripristinando le commissioni miste, quello della ministra Gelmini(2008 – 2011), tristemente nota per i numerosi tagli all’organico e la Buona Scuola del  governo Renzi e Ministero Giannini(2014-2016), che promuove una serie di iniziative volte a incentivare la formazione di docenti e studenti (PCTP Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, la carta del docente, …) e che dimostra una generale attenzione alle nuove assunzioni.

Ad oggi, la Scuola italiana si trova a vivere un altro momento di svolta, dopo l’approvazione del Decreto Legge presentato il 14 gennaio dal Ministro Valditara al Consiglio dei Ministri.

La proposta mira a veicolare un’immagine di scuola più moderna e allineata con le nuove prospettive globali, senza dimenticare, però, la nostra tradizione nazionale.

Si punta, infatti, su una maggiore attenzione alla didattica esperienziale, con l’introduzione di laboratori pratici in tutti i cicli di istruzione, sull’integrazione delle competenze digitali in senso interdisciplinare (la matematica, ad esempio, verrà studiata anche con applicazioni concrete in settori come quello dell’intelligenza artificiale e della statistica), ma anche su una nuova centralità data a materie fondamentali – e fondative – come l’educazione civica, il cui insegnamento dovrà rispettare le Linee Guida nazionali.

Un’attenzione particolare è riservata ai temi dell’inclusività e della salute mentale, per i quali verranno attuate misure di sostegno quali programmi personalizzati per studenti con difficoltà di apprendimento, l’introduzione di tutor individuali che lavoreranno in sincronia con insegnanti e famiglie, la creazione di un fondo nazionale per l’inclusione per rafforzare le infrastrutture e migliorare la formazione del personale docente e l’inserimento di sportelli psicologici e attività dedicate al benessere emotivo degli studenti.

Nelle scuole primarie verrà introdotto un percorso di rafforzamento delle competenze linguistiche per combattere “l’analfabetismo di ritorno”. Si promuoverà, quindi, non solo la memorizzazione di poesie, filastrocche e haiku (semplici componimenti poetici giapponesi), ma verrà incoraggiata anche la lettura della Bibbia. Si ritornerà, inoltre, a una valutazione espressa attraverso giudizi sintetici (da “Ottimo” a “Non sufficiente”), mentre materie come musica e educazione civica saranno insegnate fin dalla prima elementare.

Le maggiori novità per le scuole secondarie di primo grado riguardano l’introduzione del latino come materia opzionale a partire dalla seconda media e lo studio di opere contemporanee accanto a quelle dei grandi classici (da Virgilio e Omero alla saga di Percy Jackson e Stephen King).

Nella scuola superiore, invece, verrà abolita la Geostoria a favore di una materia che darà maggiore centralità alla storia d’Italia, dell’Europa e dell’Occidente, tentando di eliminare, nella narrazione, sovrastrutture ideologiche. È previsto, inoltre, una generale valorizzazione delle materie umanistiche, sempre nell’ottica di rinvigorire, tra gli studenti, la consapevolezza del tessuto culturale nazionale.

L’immagine alla quale questa riforma punta, dunque, è quella di una scuola che, seppur non cieca di fronte alle novità, sia in grado di rimarcare il legame con la tradizione italiana. Obiettivo, questo, sicuramente condivisibile in una nazione che, forse troppo spesso, dimentica le sue origini, purché questo messaggio non sia solo funzionale a una mera propaganda governativa. La Scuola non deve essere la cassa di risonanza di un orientamento parlamentare, ma deve riconquistare una reale centralità nella coscienza nazionale. E, per far questo, non basta ripristinare o rafforzare alcune materie, ma è necessaria un’azione sistematica, che riguardi più aspetti dell’istruzione.

Non si deve dimenticare, infatti, che la Corte di Giustizia dell’UE ha deferito il nostro paese per l’uso eccessivo dei contratti a tempo determinato (secondo i dati pubblicati a ottobre dal Ministero dell’Istruzione e del merito sono 140000 i docenti precari in Italia) e che gli insegnanti italiani rimangono ancora tra quelli meno pagati d’Europa (un docente in Germania prende più della metà di un collega in Italia). Una prima risposta a questa situazione è stata data dal ministro Bianchi e poi Valditara con l’approvazione del nuovo sistema di assunzioni che prevede, per i futuri docenti, una formazione iniziale abilitante di 60 crediti formativi (in discipline antro-psico-pedagogiche e metodologie didattiche e linguistiche), a un costo che può arrivare fino a 2500 euro, totalmente a carico dell’aspirante insegnante. Una misura che, oltre ad incidere sull’aspetto economico dei singoli, si presenta come palliativo di una situazione ancora troppo incerta.

È vero, dunque, che alla Scuola debba essere restituito il ruolo di strumento di identità nazionale, ma senza dimenticare di attribuirle sempre la dignità di fondamento della società, non la funzione di mezzo utilitaristico. Una dignità che deve essere monopolio di tutto l’universo scolastico, dai docenti, agli studenti, al personale ATA, a quello amministrativo e alle famiglie.