“Non fare mai del bene se non sei preparato all’ingratitudine”
ROMA – Quello in intestazione è uno dei tanti aforismi, una delle tante frasi celebri che esprimono, in forma icastica, sentenziosa e per certi aspetti paradossale, la difficile e tormentata “vita” di un termine, “gratitudine”, enunciativo di un valore che in un precedente articolo veniva annoverato, non a caso, non fra i valori riconosciuti da tutti, bensì fra quelli che possono appartenere alla lista personale di ognuno di noi.
A pronunciare tale aforisma è stato una leggenda dell’industria automobilistica mondiale, sportiva in particolare: Enzo Ferrari.
Ma, come si precisava, esistono molte altre massime imperniate su tale termine – che deriva dal latino “… gratus «grato, riconoscente» …” ed esprime un “Sentimento e disposizione d’animo che comporta affetto verso chi ci ha fatto del bene, ricordo del beneficio ricevuto e desiderio di poterlo ricambiare” (cfr. vocabolario on line Treccani) – e sul suo contrario “ingratitudine”: da “Nessuno è più povero di colui che non ha gratitudine. La gratitudine è una moneta che possiamo coniare da soli, e spendere senza timore di fallimento.” (Fred De Witt Van Amburgh) a “Vale la pena di sperimentare anche l’ingratitudine, per trovare un uomo riconoscente.” (Lucio Anneo Seneca), passando a una visione meno idealistica del mondo e dei rapporti umani, con i più realistici “Non esiste saponata, per lavar l’anima ingrata.” e “A far del bene agli asini si ricevono solo dei calci.”.
Ricordavo di aver letto, diversi anni fa, sul Corriere della Sera un editoriale del Prof. Francesco Alberoni –superbo sociologo, scrittore, giornalista, docente universitario, che ricordiamo come uno dei più perspicaci osservatori e illuminati interpreti della nostra società – che mi sono premurato di recuperare e il cui titolo è: “Se aiutate qualcuno non aspettatevi gratitudine” – “Dovete farlo solamente per ragioni morali”.
In questo articolo, il Prof. Alberoni, dopo aver osservato che appartiene alla consuetudine l’aiutare, il sostenere in modo disinteressato un amico, un conoscente nel momento del bisogno e poi scoprire che la persona beneficata, anziché essere riconoscente, non solo dimentica quanto fatto per lei ma diventa addirittura fredda, prova odio e rancore verso il suo benefattore, si rivolge due domande: “Cos’è il peso della riconoscenza?”, “Come può la gratitudine diventare insopportabile?”.
La risposta più semplice la trova nell’invidia, in una forma di ingratitudine cattiva, malvagia, e lo fa menzionando un episodio che lo aveva riguardato personalmente, con protagonista un suo ex collega che, mosso da uno smodato arrivismo, da uno sfrenato desiderio di eccellere, dopo aver imparacchiato da lui il mestiere pensando di essere più bravo voleva prendere il suo posto e non perdeva occasione di denigrarlo e sparlarne.
Da tale circostanza, il Prof. Alberoni traeva l’insegnamento che era pericoloso mettersi troppo in evidenza perché si scatena l’invidia, l’ingratitudine malvagia dei colleghi, in particolare di quelli che, in modo stolto, pensano che il loro successo sia esclusivamente merito della propria bravura e si vergognano ad ammettere di essere stati aiutati, al punto di negare l’evidenza e aggredire il loro benefattore.
Ma a volte, prosegue nell’articolo il Prof. Alberoni, si verifica che l’essere generosi e disinteressati con gli altri può comportare in questi l’idea che tale comportamento sia dovuto, con la conseguenza che se si smette di farlo pioveranno critiche e accuse.
In tutti e due i casi, conclude il Prof. Alberoni, il risultato della vostra generosità sarà la mancanza di riconoscenza e, consequenzialmente, se decidete di essere munifici fatelo solo “… per ragioni morali, perché lo ritenete giusto, senza aspettarvi nulla in cambio”. Qualora invece “… l’altro vi ricambierà con la fedeltà e la riconoscenza considerate questo suo comportamento solo il dono di un animo generoso”.
I riportati aforismi e il pensiero del Prof. Alberoni ci inducono dunque a ritenere che il valore “gratitudine”, attenendo a uno stato mentale ed emotivo che allontana l’egotismo, l’estatica contemplazione di sé, il soggettivismo/individualismo esasperato che rapisce l’essere umano e lo porta ad accentrare ogni interesse su di sé, corrisponde a una profonda consapevolezza interiore che si sostanzia in una qualità umana preziosa, che porta poi a manifestare, nei confronti degli altri, sentimenti di riconoscenza, apprezzamento e ringraziamento.
Un valore comunque che, interpretato nel giusto modo, si può coltivare, sia pure più difficilmente di altri, ma anche diffondere, esattamente come capita per qualunque altro valore, con l’esempio positivo che ancora una volta costituisce il migliore degli strumenti di apprendimento e trasmissione, soprattutto per i più giovani.