Si fessura ma non si infrange il “soffitto di cristallo”
ROMA – Con l’espressione “soffitto di cristallo” si intende, secondo la definizione del vocabolario on line Treccani, “L’insieme di barriere sociali, culturali e psicologiche che si frappone come un ostacolo insormontabile, ma all’apparenza invisibile, al conseguimento della parità dei diritti e alla concreta possibilità di fare carriera nel campo del lavoro per categorie storicamente soggette a discriminazioni”.
Con riferimento alle donne, tale metafora – che nasce proprio rispetto alle donne per poi essere estesa ad altre categorie sociali marginalizzate (disabili, minoranze etniche o sessuali, ecc.) – sta dunque a indicare l’insieme delle barriere, degli ostacoli, molto spesso impercettibili perché conseguenti a consuetudini (regole non scritte) discriminatorie e a pregiudizi impliciti, che si frammettono alla carriera lavorativa/professionale delle donne in termini di iniziali difficoltà all’ingresso, di minori opportunità di “fare carriera” attraverso il conseguimento di promozioni e/o di ruoli apicali, di disparità di remunerazioni.
Le ragioni di tali ostacoli sono composite, spesso di carattere sistemico, non ultima la convinzione che la donna che occupi una posizione di vertice e responsabilità in ambito professionale non possa, a differenza dell’uomo, assicurare la necessaria e continuativa disponibilità di tempo richiesta dalla posizione stessa, anche per effetto della sua eventuale veste di genitrice (pregiudizio legato alla maternità, ma pure ai carichi di lavoro, aggiuntivi a quelli professionali, dovuti alla gestione domestica e alla cura familiare).
Si tratta di stereotipi/archetipi di genere, di preconcetti e retaggi inerenti al genere – come anche nel caso della concezione e della classificazione di certe professioni che si basa su credute differenze di abilità e qualità legate, per l’appunto, al genere – che si traducono poi in corrispondenti pregiudizi e quindi in distorsioni/travisamenti/errori di valutazione che vengono interiorizzati singolarmente e recepiti collettivamente, originando effetti negativi sui percorsi di carriera delle donne.
Costituisce dunque un’immagine, quella del “soffitto di cristallo”, particolarmente emblematica, perché dà l’idea di una barriera trasparente e a volte invisibile come il cristallo che però è, al tempo stesso, reale, concreta, perché impedisce o complica l’ascesa ai vertici ovvero la progressione di carriera delle donne nel campo del lavoro, determinando all’interno dello stesso una segregazione di genere di tipo verticale (minore accesso delle donne a professioni qualificate o a posizioni di vertice all’interno delle organizzazioni) od orizzontale (maggiore concentrazione di donne in un numero ristretto di professioni).
Dei dati recenti, ci dicono tuttavia che nel nostro Paese qualcosa sta cambiando, che dei passi nella direzione della parità di accesso alle opportunità di carriera si stanno compiendo, con una risultante mitigazione della sottorappresentazione femminile in ambito lavorativo.
Ci si riferisce ai dati che emergono dal Rapporto Cnel-Istat “Il lavoro delle donne tra ostacoli e opportunità” dello scorso 6 marzo, secondo cui negli ultimi 16 anni, dal 2008 al 2024, “… il tasso di occupazione femminile è di 6,4 punti superiore, per le ultracinquantenni l’aumento raggiunge i 20 punti, contro un valore di appena 1,4 punti per le 25-34enni. L’incremento del tasso di occupazione femminile è maggiore nell’Italia Centrale (+8 punti), nell’Italia Settentrionale e Meridionale si attesta su +5 punti percentuali …, con un incremento che si concentra soprattutto negli ultimi quattro anni”. Resta tuttavia elevata la distanza dall’Unione Europea del nostro tasso di occupazione femminile, considerato che risulta inferiore di circa 13 punti dalla media UE e che è il più basso tra i 27 paesi della stessa.
Un altro dato che non ci solleva, in termini di confronto con l’UE, è rappresentato dal divario di genere nel tasso di occupazione: nel 2024 è quasi doppio rispetto alla media UE (17,6 punti contro 9 punti), a fronte di paesi come la Finlandia dove il tasso di occupazione maschile è invece addirittura inferiore di quello femminile, o come la Francia e la Germania in cui tale gap è comunque contenuto (rispettivamente 5,5 e 6,5 punti).
Complessivamente le donne disoccupate (in cerca di lavoro) sono poco meno di 1 milione, con quelle in cerca di lavoro da un anno o più che corrispondono al 54,3%, mentre le donne inattive (che non cercano lavoro) sono oltre 7,8 milioni, di cui il 33,9% per motivazioni familiari e il 28,6% per impegno in percorsi di formazione o studio. Quasi 600mila sono invece le donne che non cercano lavoro perché scoraggiate, convinte di non riuscire a trovare un impiego.
È noto che il livello di istruzione riveste un ruolo chiave nella partecipazione al mercato del lavoro delle donne e nella riduzione delle disuguaglianze e del gap di genere; l’analisi in esame rileva (2023) che le donne in Italia sono mediamente più istruite degli uomini: il 68% delle 25-64enni è in possesso di almeno un diploma o una qualifica, contro il 62,9% degli uomini, ma, con tutto ciò, permane una evidente segregazione di tipo orizzontale, concentrandosi la metà dell’occupazione femminile in sole 21 professioni, contro le 53 professioni per gli uomini.
Insomma, si stanno facendo dei significativi passi in avanti, ma c’è molto ancora da fare nella direzione di una effettiva parità di accesso alle opportunità di carriera delle donne: il “soffitto di cristallo” resiste ed è lontano dal frantumarsi.