Aumenta il rischio di povertà o esclusione sociale
ROMA – Il report Istat su «Condizioni di vita e reddito delle famiglie, anni 2023-2024», pubblicato lo scorso 26 marzo, ci dice che nel 2024 il 23,1% della popolazione – ossia praticamente un italiano su quattro, per un totale di circa 13 milioni e 525mila persone – è a rischio di povertà o esclusione sociale.
Tale dato percentuale sta a indicare le persone che, residenti in Italia, si trovano in almeno una delle tre seguenti condizioni:
- vivono in famiglie a rischio di povertà ossia il cui reddito netto equivalente dell’anno precedente (calcolato dividendo il reddito netto familiare per un opportuno coefficiente di correzione) è inferiore al 60% di quello mediano; nello specifico, risultano essere il 18,9% delle persone residenti, pari a circa 11 milioni, e vivono in famiglie con un reddito netto equivalente inferiore a 12.363 euro;
- vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale ovverosia che registrano almeno sette segnali inerenti su una lista di tredici, tra cui il non poter sostenere spese impreviste, il non potersi permettere una settimana di vacanza all’anno lontano da casa, l’essere in arretrato nel pagamento di bollette, affitto, mutuo o altro tipo di prestito, il non potersi permettere un pasto adeguato almeno una volta ogni due giorni, il non potersi permettere un’automobile, il non poter sostituire gli abiti consumati con capi di abbigliamento nuovi, il non potersi permettere di spendere quasi tutte le settimane una piccola somma di denaro per le proprie esigenze personali, il non potersi permettere di svolgere regolarmente attività di svago fuori casa a pagamento; in particolare, rappresentano il 4,6% delle persone residenti;
- vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro, vale a dire in famiglie per le quali il rapporto fra il numero totale dei mesi lavorati dai componenti della famiglia durante l’anno di riferimento e il numero totale di mesi teoricamente disponibili per attività lavorative è inferiore a 0,20; in specie, equivalgono al 9,2% delle persone residenti.
Alla base di questo progressivo impoverimento, c’è indubitabilmente una sostanziale inadeguatezza delle retribuzioni dei lavoratori: alla crescita o alla stabilità dei salari nominali, si contrappone infatti una contrazione del potere d’acquisto reale degli stessi.
Un dato, più di altri, ci fornisce la misura di tale fenomeno: dall’inizio del 2021 a quello del 2025 i prezzi sono aumentati complessivamente di quasi il 18%, mentre le retribuzioni contrattuali dell’8,2%, cioè meno della metà.
L’impatto, inevitabilmente, è stato maggiormente pesante per le famiglie con redditi più bassi, che destinano una quota maggiore degli stessi all’acquisto di beni di prima necessità, che sono quelli che hanno subito gli aumenti di prezzo più consistenti.
Indicativo, in tal senso, il grido d’allarme lanciato dal Codacons, che per il 2025 prevede una maggiore spesa di 559 euro annui per la famiglia “tipo” e di 761 euro annui per un nucleo familiare con due figli, con la corsa al rialzo delle tariffe di luce e gas che più destano preoccupazioni.
All’erosione del potere d’acquisto è conseguita anche, immancabilmente, una maggiore diseguaglianza sociale tra le famiglie ricche e quelle povere.
Non meno rassicurante, la crescita senza sosta dei prezzi delle abitazioni, che nel quarto trimestre del 2024 sono aumentati del 9,4% per le abitazioni nuove e del 3,4% per quelle esistenti, con un incremento in media, nello stesso anno, del 3,2%.
Tali lievitazioni dei prezzi, unitamente alle difficoltà di accendere mutui presso gli istituti di credito, alla crescita dei tassi d’interesse, al rischio di rate di mutuo che potrebbero schizzare con i tassi variabili, hanno determinato un rallentamento dell’interesse all’acquisto delle abitazioni, a favore delle case prese in locazione.
A fronte di dati, come quelli prima esposti, non propriamente rassicuranti, altri dati Istat invece ci rallegrano: nella media del 2024, si registra infatti un aumento del numero di occupati pari a 352 mila unità, con un +1,5% rispetto al 2023, che si associa, nello stesso periodo, alla riduzione del numero di disoccupati rispettivamente di -283 mila unità e -14,6%.
Ne consegue che il tasso di occupazione 15-64 anni sale al 62,2%, con un +0,7% rispetto al 2023, mentre per contro quello di disoccupazione scende al 6,5%, con un -1,1%.
Altro dato positivo è rappresentato, sempre rispetto al 2023, dall’aumento dei lavoratori a tempo indeterminato che, con 508mila occupati in più, raggiungono quota 16 milioni 78mila, con un +3,3%, mentre i dipendenti con contratto a termine diminuiscono di 203mila unità, scendendo a quota 2milioni 769mila, con un -6,8%. Gli indipendenti invece sono 47mila in più e salgono a quota 5milioni 85mila. I disoccupati in media annua nel 2024 sono invece 1 milione 664mila, come si diceva 283mila unità in meno rispetto al 2023.
La migliore performance su base mensile si è rilevata a novembre 2024, con il tasso di disoccupazione sceso al 5,7% ossia al livello più basso di sempre dall’inizio delle serie storiche nel 2004.