La “maglia più bella del mondo” finisce in C: che malinconia!

GENOVA – Ci sono dei momenti che, emotivamente parlando, segnano e rendono sicuramente tristi, malinconici, tutti i veri appassionati di sport.

Si è già scritto, a ricordo di uno di quei momenti, del ritiro dalle competizioni di Rafael Nadal ossia di uno dei più straordinari e vincenti fuoriclasse del tennis mondiale, che è stato ammirato ed è entrato nel cuore di tutti i tifosi di tale sport anche per i suoi modi educati e simpatici, per la correttezza e signorilità sempre manifestate nei confronti degli avversari, per la sua incredibile determinazione e tenacia che, anche quando di sicuro non era la fame di successi e soldi l’eventuale molla della sua resilienza, gli hanno consentito di recuperare dai gravi problemi fisici che lo affliggevano.
Ma uno di questi momenti, almeno per gli amanti autentici del calcio, che vivono il tifo per la propria squadra sì in modo passionale ma non accecati dalla faziosità, è stato la recentissima retrocessione, per la prima volta nella sua storia, della Sampdoria in Serie C, a seguito di una tribolatissima stagione.
La Samp retroceduta all’ultimo livello del calcio professionistico è infatti qualcosa che fa male a tutti i tifosi di cui prima, molti dei quali, è anche il caso di chi scrive, se chiamati a scegliere una seconda squadra per cui tifare (forse, più esattamente, simpatizzare) accorderebbero la preferenza proprio alla Samp.
Ma perché avviene questo?
Perché la Samp ha vinto tantissimo e incessantemente nel tempo e quindi, soprattutto quando si è bambini, si ha una maggiore inclinazione a scegliere e tifare la squadra che vince e che schiera, inevitabilmente, anche i più grandi campioni?
Oppure perché la Samp ha una storia contrassegnata da situazioni così intense e magari angosciose, come potrebbe essere per chi sceglie di tifare il Torino in quanto suggestionato dalla leggendaria e vincente squadra denominata “Grande Torino”, che il 4 maggio 1949 si schiantò, a bordo di un aereo, contro la Basilica di Superga?
Nulla di tutto questo.
La risposta è rinvenibile, più semplicemente, nella “magia”, nel particolare fascino, nella singolare “seduzione” che esercita sui tifosi di calcio l’inconfondibile maglia della Samp, frutto della storica fusione delle maglie della Sampierdarenese e Andrea Doria.
Una maglia di calcio così poco “italiana”, così lontana dalle diffusissime maglie a strisce verticali o prevalentemente monocolori, una casacca che con il suo sfondo blu, cerchiata da una classica fascia continua rossonera orizzontale, bordata di bianco intenso, presenta un design assolutamente originale ed esclusivo.
E non è un caso che la rivista francese France Football ha definito la maglia dello scudetto della Samp del 1990/91 come la più bella di sempre della storia del calcio, che il Guerin Sportivo nel 2012 ha votato la maglia della Samp come la più bella al mondo, esattamente come ha fatto “Four Four Two”, magazine inglese, con riferimento alla maglia della stagione 2017/18 e l’ESPN, emittente televisiva statunitense totalmente dedicata allo sport, che ha assegnato, nella sua speciale classifica delle 100 divise più belle della storia del calcio, il primo posto a quella della Samp stagione 1991/92.
Ed è proprio per questa ragione che ogni anno è stampata, all’interno del collo della divisa della Samp, la scritta “La maglia più bella del mondo”.
Ma la Samp è anche altro, è una questione di stile, è la narrazione di personaggi e storie particolari e di una, sia pur circoscritta, fase calcistica fatta di successi ma anche di grandi trofei sfiorati.
Ci si riferisce, in specie, a Paolo Mantovani, presidente della Samp dal 1979 al 1993, un Signore, un uomo vecchio stampo prima ancora che uno straordinario imprenditore/manager, che trattava l’allenatore, i giocatori e ognuno degli altri componenti dello staff come se fossero i suoi figli. Una prova? Con la gestione Mantovani i procuratori non esistevano, i contratti e i loro adeguamenti venivano firmati sui tovaglioli del ristorante da “Carmine a Quinto”. Ma la presidenza Mantovani è anche quella dei grandi traguardi sportivi, dei successi in Coppa Italia (1985, 1988, 1989 e 1994), della finale di Coppa delle Coppe persa a Berna (1989) e vinta a Göteborg (1990), dello scudetto e della Supercoppa italiana vinti (1991), della finale di Coppa dei Campioni persa a Wembley (1992).
Anni in cui Mantovani si avvaleva di un grande direttore sportivo, Paolo Borea, uomo dotato di una non comune capacità di scovare ovunque talenti calcistici, che in un mondo del calcio come quello di oggi, “ossessionato” più che mai dalla ricerca delle plusvalenze, avrebbe fatto le fortune di qualsiasi presidente di società. Anni in cui si avvaleva anche (dal 1986 al 1992) di un allenatore difficilmente ripetibile nel mondo del calcio come Vujadin Boskov, maestro di ironia e battute, merce questa sempre più rara tra gli allenatori, dotato di una furbizia calcistica e una capacità di adattarsi tatticamente agli avversari davvero non comuni, e che ha potuto contare su campioni veri come Mancini, Vialli, Vierchowod, Cerezo, Lombardo, Pagliuca, Dossena.
Certo evocare quella Samp che non c’è più in giorni in cui, a seguito della retrocessione, i tifosi doriani esprimono tutta la loro rabbia e animosità nei confronti di giocatori e società, fa un certo effetto e, come si diceva, genera anche un sentimento, un senso di malinconia.
Ma è proprio in giorni come questi che sentire un tifoso della Samp, “speciale” perché né nativo né residente in terra ligure e innamoratosi della sua squadra per le ragioni prima esposte, fornisce certamente la misura di che cosa si possa provare in momenti del genere.
“Tutto nasce quando avevo quasi 6 anni – racconta Antonio Damiano, tifosissimo della Samp residente a Roma – mi innamorai di quei colori magici che fanno venire i brividi. A Sala Consilina, piccola località in cui risiedevo, ero all’epoca l’unico a tifare Samp, con i miei compagni che mi vedevano in maniera strana ma, al tempo stesso, anche con ammirazione per il coraggio che mostravo nel tifare squadre diverse dalla Juventus, dall’Inter, dal Milan, dal Napoli e dalla Roma. Quando mamma mi mandava a fare la spesa all’alimentari sotto casa, il cassiere di turno guardava con non poca meraviglia quel bimbo che indossava la maglia della Samp e diceva ‘bambino, ma tu sei di Genova?’ e io, con orgoglio, replicavo ‘No, abito qui di fronte e amo la Sampdoria’, cosa questa che determinava normalmente la reazione ‘Ma tu sei un grande! È strana, ma è bellissima ‘sta cosa!”.
“Quando poi nel 2002 mi sono trasferito a Roma – continua Antonio – ho iniziato a seguire le partite della Samp a Marassi, uno stadio magico, che ti strega come la mia squadra, dapprima in gradinata Nord e poi, dopo aver conosciuto alcuni esponenti di spicco della tifoseria blucerchiata, nella gradinata più coinvolgente ed emozionante d’Italia ossia in gradinata Sud. Di lì l’integrazione con chi costituisce il cuore pulsante del tifo, i ripetuti viaggi per e da Genova, tante amicizie vere, fraterne, nate e consolidatesi intorno a ‘quel filo che mi porta dritto a Lei’, come recita il nostro inno d’amore ‘Lettera da Amsterdam’”.
“Che dire della retrocessione in C – conclude Antonio – mi fa male, molto male, mi toglie letteralmente il sonno, mi genera grande tristezza e mi fa ripensare ad alcuni degli amici che dicevo e che non ci sono più. Mi riferisco ad Andreino degli Herberts, a Donald, inglese trapiantato nei vicoli di Genova, a Tommy, stravagante tifoso con una vita difficile che girava per gli stadi italiani a piedi nudi, al grande Bek, leader indiscusso degli ultras che ci ha regalato serate piene di aneddoti, penso a come loro, quelli del c.d. ‘terzo anello della gradinata Sud’, possano vivere nell’aldilà questo particolare periodo. Di una cosa, tuttavia, sono convinto, che tutti noi pur con la rabbia e la delusione del momento, continueremo come prima e più di prima a seguire la nostra Samp, che per noi non è semplicemente una squadra di calcio, ma un vero e proprio ‘stile di vita’”.