Jannik Sinner, il numero uno!
LONDRA – 4-6 6-4 6-4 6-4: è il risultato con cui, sul centrale di Wimbledon, Jannik Sinner ha demolito il suo grande rivale Carlos Alcaraz vincendo il torneo più prestigioso al mondo, primo italiano a riuscirci nelle 138 edizioni dello stesso disputate.
E il netto trionfo sull’erba di Wimbledon fa, per certi aspetti, il paio con la finale persa al quinto set, proprio da Alcaraz, sulla terra rossa del Roland Garros, il secondo torneo al mondo in termini di importanza, dopo che al quarto set, vinti i primi due, Jannik aveva avuto a disposizione ben tre match point per chiudere la partita.
Ieri mattina, prima quindi della finale, chi scrive si era sbilanciato in una previsione che da diversi era stata considerata come azzardata, anche perché gli ultimi cinque confronti ufficiali tra i due finalisti erano stati appannaggio di Alcaraz (circostanza questa che avrebbe anche dimostrato come, a differenza di ciò che dice la classifica ATP, il vero numero uno del tennis professionistico è lo spagnolo): se a Jannik entra costantemente la prima di servizio come nel match di semifinale con Djokovic, sono convinto che vince la partita e anche prima del quinto set.
Tale previsione, muoveva da alcune constatazioni oggettive e dall’interpretazione di un episodio che appariva come un segno del destino, come una di quelle coincidenze, di quegli eventi che accadono per caso ma che possono essere letti, visti come elementi che fanno parte di un disegno più ampio, che presentano un corso ineluttabile, governato dalla sorte o da qualcosa di ancor più misterioso.
Partiamo da quest’ultimo episodio, ci si riferisce ovviamente al match degli ottavi di finale contro il bulgaro Grigor Dimitrov, in cui Jannik, dopo aver perso i primi due set si trovava due pari al terzo, dando la sensazione – come testimoniato da una prima palla al servizio tutt’altro che efficace e dai tantissimi grossolani errori nello scambio da fondo campo – condizionato fors’anche da un infortunio al gomito subito a inizio sfida, di non essere mai entrato in partita, di essere in completa balia dei colpi magistrali del suo avversario, di non essere in grado di poter reagire. Poi all’improvviso, quando probabilmente nessuno o pochissimi avrebbero scommesso su un recupero di Jannik e quindi su un suo possibile passaggio del turno, l’evento imponderabile di cui sopra: Dimitrov si infortuna al pettorale destro ed è costretto a ritirarsi.
Vediamo invece su che cosa si fondavano dette constatazioni oggettive.
La prima: Sinner era stato l’ultimo a battere Alcaraz sull’erba di Wimbledon nel 2022; dopo di allora lo spagnolo non aveva più perso, inanellando i successi del 2023 e 2024 e arrivando alla finale di quest’anno.
La seconda: l’erba è una superficie più veloce rispetto alla terra battuta e quindi più adatta al gioco di Sinner.
La terza: Sinner circa un mese fa era arrivato alla finale di Parigi venendo dalla squalifica di tre mesi per il caso doping (scaturita dall’accertata positività al Clostebol del tennista azzurro, a seguito di una contaminazione transdermica ndr) e quindi non al meglio non solo dal punto di vista atletico, ma anche sotto quello del “clima partita” – intendendo con esso quell’insieme di sensazioni, emozioni e dinamiche che solo una partita vera può fornirti – dovendosi pertanto riadattare allo stesso dopo aver fatto solo allenamenti durante tali tre mesi. Relativamente alla condizione atletica, poi, non trascurabile il fatto che al Masters 1000 di Roma era arrivato in finale, poi persa sempre con Alcaraz, vincendo tutte le partite in soli due set, e a Parigi fino alla finale non era mai andato oltre i tre set, avendo liquidato i suoi avversari senza concedere loro neppure un set. Eppure, ciò nonostante, era riuscito a centrare per la prima volta in carriera tali finali su terra rossa e a Parigi al quarto set, come si ricordava, aveva avuto sul servizio di Alcaraz ben tre palle consecutive per chiudere la partita, che comunque ha perso al quinto solo al tiebreak nonostante lo spagnolo fosse atleticamente molto più fresco di lui. Diversamente detto, aveva ceduto unicamente sul piano della tenuta atletica.
La quarta: il modo netto, in tre soli set, con cui aveva battuto in semifinali Djokovic ossia un fuoriclasse assoluto del tennis mondiale, vincitore di ben sette Wimbledon e che, in questo torneo, a dispetto della sua non più verde età, vale sempre almeno la finale.
Stavolta, a Wimbledon, seppur con l’aiuto dell’evento di cui prima, c’era un Sinner diverso, pronto a lottare fisicamente anche oltre il quinto set se fosse stato mai possibile, ma anche dal punto di vista mentale, perché come da lui stesso affermato la sconfitta al Roland Garros è stata si dura da digerire sotto il profilo emotivo, ma gli ha permesso di “… capire cosa non ha funzionato” e di “… lavorare lì, usare la sconfitta per migliorare”, con la conseguenza che è stato “… per questo che ho vinto questo torneo”.
Ecco, in questa frase c’è la sintesi di Jannik, c’è l’espressione più fulgida della sua incomputabile e risolutiva forza mentale, necessaria per assicurare, su tutte le superfici e durante tutto l’arco della stagione tennistica, continuità di prestazioni e di risultati.
In quella frase, in altri termini, c’è la manifestazione massima del senso dell’impegno, della dedizione, della perseveranza, del senso di responsabilità e del dovere, della cura maniacale dei dettagli, della capacità di affrontare e superare le difficoltà (si pensi, in tal senso, a quelle, anche psicologiche, pre e post la ricordata squalifica): in una parola, della “professionalità” con cui Jannik interpreta e svolge il suo sport, con cui ricerca costantemente il miglioramento, con cui non sfugge alla sfida con gli avversari, ma cerca in essa il modo di persuadersi che miglioramento c’è stato.
Tutte peculiarità, queste, che rendono Sinner un italiano così poco “italiano”, che renderebbero Sinner un campione in ogni altro settore della vita lavorativa e professionale e che, unite alle sue non comuni qualità umane, alla sua educazione, al fatto che la notorietà e il successo non lo hanno in alcun modo cambiato nel rapporto con gli altri, non gli hanno dato alla testa come si dice, dovrebbero, per tutti, anche per gli studenti che hanno disertato la prova orale all’esame di maturità, costituire un insegnamento, un esempio positivo da emulare.


