Il “Caso Garlasco” si colora sempre più a tinte forti e fosche

PAVIA – Non solo un caso in cui le nuove indagini stanno mettendo in evidenza errori (orrori?) macroscopici e lacune compiuti nello svolgimento delle precedenti indagini, che hanno fortemente alterato la possibilità di costruire un quadro probatorio che potesse consentire l’individuazione certa (“al di là di ogni ragionevole dubbio”) dell’autore o degli autori del delitto e delle inerenti responsabilità imputabili.

Non solo un caso dalla spropositata mediaticità, probabilmente il più virale di sempre nel nostro Paese, che ha visto la celebrazione di innumerevoli processi attraverso i mezzi di informazione e l’inevitabile divisione dell’opinione pubblica in fazioni di “innocentisti” e “colpevolisti”, processi che hanno stravolto le vite personali e familiari delle persone coinvolte e fors’anche l’evoluzione del complesso iter giudiziario conclusosi con una sentenza di condanna passata in giudicato a carico di Alberto Stasi per l’omicidio di Chiara Poggi.

Ma anche un caso, quello di Garlasco, che negli ultimi giorni si sta colorando sempre più a tinte forti e fosche e che, se dovessero trovare conferma nelle aule di giustizia gli elementi che stanno emergendo, finirebbe per minare la credibilità dell’intero sistema giudiziario, in una fase peraltro già particolarmente delicata, in cui la riforma dello stesso è iscritta nell’agenda politica del Parlamento.

È degli ultimi giorni, infatti, la notizia che l’ex procuratore di Pavia, Mario Venditti, è indagato dalla Procura di Brescia per corruzione in atti giudiziari. Si sarebbe adoperato, dietro la corresponsione di una somma di danaro, per favorire nel 2017 l’archiviazione dell’indagine a carico di Andrea Sempio, indagato allora, come oggi con le nuove indagine, per il delitto di Chiara Poggi.

Secondo la Procura di Brescia, investita della questione dalla Procura di Pavia, le indagini condotte nel 2017 a carico di Sempio sarebbero state caratterizzate da una serie di anomalie, che vanno dall’omessa trasmissione di passaggi rilevanti delle intercettazioni effettuate a contatti valutati come “opachi” tra l’indagato Sempio e appartenenti alla polizia giudiziaria incaricati delle investigazioni, dalla breve durata dell’interrogatorio di Sempio e dei suoi genitori, fatto questo che lascerebbe trasparire la previa conoscenza delle domande che sarebbero state loro formulate dai magistrati inquirenti, ai tempi strettissimi con cui quest’ultimi si sarebbero determinati a richiedere, al giudice per le indagini preliminari, l’archiviazione del relativo procedimento penale.

Per effetto di ciò, sono partite perquisizioni e sequestri a tappeto a opera della polizia giudiziaria (carabinieri e guardia di finanza) incaricata dalla Procura di Brescia, che hanno riguardato le dimore dell’ex procuratore indagato, di Sempio, dei genitori e di suoi parenti paterni, ma anche di due ex appartenenti alla polizia giudiziaria, ora in congedo, che hanno svolto le vecchie indagini.

A riprova della dazione di danaro da parte della famiglia di Sempio per “aggiustare” la precedente situazione giudiziaria, ci sarebbero accertati e strani (in quanto apparentemente privi di una specifica motivazione) movimenti di danaro a favore del padre di Sempio da parte di suoi parenti, a cui hanno poi fatto seguito una serie di prelievi di contante del primo e di Sempio stesso, anch’essi accertati, dalla dubbia (?) destinazione.

Si preannuncia pertanto un autunno bollente per il “Caso Garlasco”, con l’incidente probatorio in corso a seguito delle nuove indagini condotte dalla Procura di Pavia e con le riferite indagini dirette dalla Procura di Brescia, competente perché l’indagato è un ex magistrato, che a detta di molti potrebbero sconfinare oltre il caso stesso e rivelare un “sistema malato” di gestione della giustizia.

La sensazione che si avverte è che ogni giorno possa affiorare qualcosa di nuovo e clamoroso, circostanza questa che finisce per infiammare ulteriormente il dibattito che si svolge nell’arena dell’ambiente digitale, come dimostrano peraltro le innumerevoli interazioni (like, commenti, condivisioni, salvataggi, reazioni, visualizzazioni, clic sui link) che si registrano sottoforma di risposte ai contenuti pubblicati nelle diverse segmentazioni dello stesso.

Ma al di là delle questioni prima accennate, il “Caso Garlasco” finisce purtroppo per riaffermare anche altri aspetti che obiettivamente terrificano, atterriscono i cittadini, almeno quelli perbene.

Alcuni esempi di tali aspetti?

Beh, sicuramente l’idea che si possa diventare vittime di processi mediatici (favoriti paradossalmente dalla morbosa e per certi aspetti compulsiva curiosità degli stessi cittadini) anche quando non si è nemmeno indagati, in conseguenza di un modo di esercitare il diritto di cronaca che oramai ignora completamente quello alla riservatezza degli interessati e che, non meno gravemente, rischia di inficiare la genuinità delle indagini e l’indipendenza cognitiva di chi le svolge e, con esse, pure l’esito di un eventuale processo. In tal senso, a non pochi viene il fondato sospetto che le disposizioni che disciplinano il reato di diffamazione aggravata e la segretezza degli “atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria” (nonché degli altri atti a questi connessi) continuino a essere sì contenute nell’ordinamento penale, ma siano poi sistematicamente e sostanzialmente violate senza alcuna conseguenza, neanche fosse intervenuta una consuetudine abrogatrice delle stesse.

Ma, per soffermarci su un altro aspetto che impaurisce, vi è anche il pensiero che si possa essere condannati a seguito di un’alterazione del quadro probatorio – ossia dell’insieme dei mezzi di prova, come rilievi vari sulla scena del crimine, reperti, documenti e testimonianze – che consegua a indagini fatte male o, peggio ancora, a macchinazioni e manipolazioni dello stesso. In tale ultima direzione, il “Caso Garlasco”, anche alla luce della ricordata indagine della Procura di Brescia, lascia aperto il campo a entrambe le opzioni prospettate.

E nel caso di Stasi ad alimentare, ancor di più, l’idea che non vi sia l’assoluta certezza della sua responsabilità (processuale) così come accertata con la sentenza di condanna definitiva, che vi siano delle ricostruzioni, delle ipotesi alternative perlomeno altrettanto plausibili rispetto a quella cristallizzata con tale sentenza, concorre anche il fatto che il medesimo era stato inizialmente assolto dal giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Vigevano per non avere commesso il fatto e successivamente di nuovo assolto, sempre per non avere commesso il fatto, con sentenza della Corte di Assise di Appello di Milano.