Archivio Disarmo: scacco matto al riarmo!
ROMA – L’obiettivo di aumentare le risorse economiche per le aziende militari europee è un mito, in questi giorni molto coltivato in Italia e in tutta Europa. Del resto, la corsa al riarmo è ormai da alcuni anni una tendenza globale: per il 2023, il SIPRI ha rilevato una spesa militare che, a livello mondiale, ha toccato l’astronomica cifra di 2.400 miliardi di dollari, con un incremento del 6,8% rispetto all’anno precedente: l’aumento maggiore su base annua dal 2009.
Impegnato dal 1982 nell’analisi dei bilanci della difesa e della produzione di armamenti, oggi Archivio Disarmo aderisce alla campagna “FERMA IL RIARMO” lanciata da Rete Italiana Pace e Disarmo assieme a Sbilanciamoci!, Greenpeace e Fondazione Perugia-Assisi.
A tutt’oggi nessun membro del governo italiano, né la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, né il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, hanno risposto alla “domanda delle domande”: da dove il Governo prenderà i soldi per finanziare un aumento delle spese militari 2025, dal 1,5% al 2% del PIL, ovvero 8 miliardi di euro in più?
Tutte le analisi in tema di finanziamento delle funzioni dello Stato mostrano che qualunque investimento e maggiorazione dello stesso ha una (o più) di queste tre fonti:
- Aumento del gettito fiscale (il Governo aumenta le tasse);
- Aumento del debito pubblico (in Italia oggi è di circa 2.980 miliardi di euro, pari al 139% del PIL. Da notare che l’esonero dai vincoli del Patto di stabilità promessi dalla von der Leyen per gli acquisti “nazionali” di armamenti non modifica in alcun modo la natura del debito contratto che, sia pure a tasso agevolato e a lungo termine, dovrà essere comunque restituiti);
- Spostamento delle risorse da altre voci di bilancio (tipicamente sanità e istruzione).
Commenta Fabrizio Battistelli, presidente di Archivio Disarmo: “Dal momento che non vengono tagliate altre spese né viene aumentato il gettito fiscale, le nuove risorse destinate alla Difesa e in particolare all’acquisto di armamenti non potranno che essere prelevate da quelle destinate al welfare; soprattutto dalle poste più rilevanti per dimensioni, con sacrificio del benessere sociale (sanità) e delle potenzialità future (istruzione)”.