Delitto di Garlasco, il caso mediatico più virale di sempre!
ROMA – La riapertura delle indagini sul delitto di Garlasco, rispetto al quale, come è noto, dei processi nelle aule giudiziarie (ben cinque n.d.r.) sono stati già celebrati ed esiste un colpevole per omicidio condannato in via definitiva, sta facendo emergere, oramai da mesi, il tema della spropositata mediaticità del caso, che peraltro aveva già fortemente caratterizzato lo stesso in precedenza e che, per questo motivo, è destinato a diventare il più virale di sempre nel nostro Paese, tanto più se ci saranno gli sviluppi che le nuove indagini sembrerebbero delineare.
Non passa giorno, infatti, senza che i media (giornali, televisioni, radio, internet), indistintamente, attivino sul caso Garlasco un processo di comunicazione di massa teso a soddisfare e a nutrire la via via crescente morbosa e per certi aspetti compulsiva curiosità dell’opinione pubblica sul caso stesso, dovuta anche alle particolarità dei soggetti coinvolti e alle suggestionanti e magnetizzanti ipotesi a vario titolo prospettate dai media, in particolare, sul movente dell’omicidio.
Se a questi aspetti si associa il fatto che la rappresentazione mediata dell’evento influenza certamente l’opinione pubblica, conducendo spesso a una condanna anticipata dei nuovi personaggi coinvolti prima ancora che un eventuale processo giudiziario abbia a svolgersi, si comprende agevolmente come questo “caso” determina problemi di natura etica e giuridica avendo generato un “processo mediatico” che per ipotesi potrebbe precedere o addirittura potrebbe anche “sostituirsi” a un processo giudiziario che non si terrà mai, con effetti screditanti per chiunque dei medesimi soggetti implicati.
Si assiste, invero, al difficilmente mediabile conflitto tra il diritto di cronaca (giudiziaria) e i diversi diritti (alla reputazione personale, all’immagine, al nome, alla dignità, all’onore, alla riservatezza, alla presunzione di non colpevolezza, all’imparzialità del giudizio) di chi lo subisce, a cui si collega, peraltro, la questione delle misure di carattere rimediale che dovrebbero essere garantite a chi subisce il “processo mediatico”, in particolare nelle ipotesi in cui questi non sia poi parte di un processo giudiziario o sia riconosciuto innocente all’esito dello stesso: si tratta del dibattuto tema di come rimediare al danno patito dal “giudizio parallelo” celebrato sui media, televisioni e giornali in particolare.
Purtroppo, nel caso Garlasco come in altri, si trascura come con un processo mediatico anche i dettagli della propria esistenza diventano oggetto della ossessiva curiosità degli altri, perché sbattendo tutto in prima pagina – a volte ricercando uno stile effettistico e scandalistico, altre volte in modo romanzato, altre ancora senza alcuna verifica della attendibilità della fonte e della veridicità delle notizie riportate – chiunque si sente legittimato a commentare e giudicare la vita altrui, il modo di essere e di fare di chi si trova nel tunnel del processo mediatico stesso.
Quello che inoltre si ignora, in specie, è che il processo mediatico, la gogna mediatica, ti cambia, ti fa perdere la fiducia verso sé stesso e verso l’altro, ti fa diffidare di ogni interesse o sfrontatezza altrui, ti fa capire come a volte il pettegolezzo, il pregiudizio, il preconcetto e il giudizio precedono la conoscenza della persona, ti fa vivere lo stato di disagio psicologico proprio di chi, istintivamente, si sente “osservato” e “giudicato”.
Ma la cosa che in questa sede preme rilevare è come il pubblico sia sempre più spettatore di una giustizia che viene costruita fuori delle aule giudiziarie, è come i giornali, gli schermi televisivi e i siti web producano una spettacolarizzazione delle vicende delle persone coinvolte nel processo mediatico e una sete incontrollabile di notizie che spesso travalica in immagini e parole che distorcono i contenuti.
Tutto questo causa poi una sproporzionata e diffamante esposizione mediatica a dei “protagonisti” involontari, che non si risolve nel solo danno patito nella loro sfera intima, in termini di considerazione e fiducia di cui godono in un determinato ambiente e tra i consociati, ma si estende anche alla loro sfera lavorativa, alla loro reputazione professionale, determinandone pure in tal senso una lesione del prestigio e della credibilità.
Un modo di esercitare il diritto di cronaca, quello descritto, che ignora completamente il diritto alla riservatezza degli interessati, che “sacrifica” totalmente lo stesso all’obiettivo di entrare nelle vite degli altri, “trapassando” la loro privacy attraverso il buco di una serratura misurato a volte dai pollici di una tv, altre dai caratteri delle partizioni interne che compongono un articolo, senza contare che siffatto modo di esercitare il diritto di cronaca rischia di inficiare anche la genuinità delle indagini e l’indipendenza cognitiva di chi, a diverso ruolo, le svolge, ma anche, con esse, l’esito di un eventuale processo giudiziario.
Quando l’informazione si trasforma in un processo e svaluta quindi sé stessa, quando l’informazione è contro qualcuno ed è dunque orientata, quando si cercano le notizie a prescindere purché in anticipo rispetto alle indagini e ai processi e in funzione di un gradimento in tempo reale, quando si trasformano i magistrati in vere e proprie star televisive e i diversi protagonisti dei processi, nessuno escluso, preferiscono la vetrina che ti offre uno studio televisivo all’aula, si registra una diffusa patologia del sistema che va affrontata senza esitazioni e tentennamenti.
Ma vi è di più!
Questi sono anche gli anni della giustizia nell’era dei social, della giustizia che si celebra altresì nell’arena delle piattaforme social, nell’ambiente digitale, che finisce inevitabilmente per ingigantire in modo esponenziale il processo mediatico.
In una società sempre più caratterizzata dalla digitalizzazione delle relazioni, anche i fatti di cronaca vengono affrontati e dibattuti sui social e, anche su questo fronte, emerge che il caso Garlasco è nettamente il più gettonato in termini di interazioni (milioni) e quindi di azioni intraprese dagli utenti (like, commenti, condivisioni, salvataggi, reazioni, visualizzazioni, clic sui link) in risposta ai contenuti pubblicati, come i post, le storie, i video. È quanto affiora da un report elaborato da Arcadia.
Insomma, la vicenda Garlasco sta facendo emergere in modo esplosivo un problema che, a parere di chi scrive, necessita di un tempestivo intervento da parte del legislatore statale, teso a “riscrivere” il diritto di cronaca, individuandone puntualmente i limiti, delineandone in modo analitico il significato e la portata e, simmetricamente, i criteri cui chi fa informazione deve uniformarsi, stabilendo specifici precetti e correlate sanzioni.
Ma per fare questo occorre una presa di coscienza effettiva e convinta da parte di tutti gli attori protagonisti del circuito mediatico, a partire dagli operatori dell’informazione, muovendo dalla consapevolezza che fare cattiva informazione equivale a calpestare alcuni dei principi essenziali su cui si fonda uno Stato di diritto.