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Il potere del linguaggio inclusivo: perché cambiare la valenza della parola “disabilità”

Il potere del linguaggio inclusivo: perché cambiare la valenza della parola “disabilità”

ROMA - La parola “disabilità” si è affermata nel linguaggio quotidiano con un riferimento ben preciso, lo stesso usato dll’Organizzazione Mondiale della Sanità quando ha stilato per la prima volta nel 2001 la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute (ICF). Un documento che prova a circoscrivere il concetto di “disabilità” e i suoi aspetti come: “emerge nell’incontro tra le caratteristiche di una persona e un contesto di fattori ambientali” oppure “ha a che fare con la partecipazione sociale tanto quanto con il benessere biologico e psicologico”.

L’ICF non classifica la persona, ma descrive la sua situazione passando in rassegna una serie di “Domìni”. In particolare, due componenti analizzano il corpo dell’individuo: la prima (“funzioni dei sistemi corporei”) classifica le funzioni fisiologiche dei sistemi, comprese quelle psicologiche; la seconda (“strutture corporee”), le parti anatomiche del corpo.

L’ICF riconosce che ambienti diversi possono avere un impatto molto diverso sul medesimo individuo: un ambiente con barriere limiterà la performance; altri ambienti tenderanno a favorirla.

Quindi la disabilità per l’ICF è una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. Qui bisogna precisare che ambiente “sfavorevole” può anche voler dire semplicemente un ambiente adatto alla maggior parte degli individui, ma non a tutti.

Per questo motivo la disabilità non può essere vista come una condizione immutabile e indipendente dall’ambiente. Essa viene piuttosto definita come la conseguenza o il risultato dell’incontro tra le caratteristiche di un individuo e i fattori personali e ambientali che rappresentano le circostanze in cui l’individuo vive.

Come detto da Erickson: “I fattori personali […] comprendono il sesso, la razza, l’età, altre condizioni di salute, la forma fisica, lo stile di vita, le abitudini, l’educazione ricevuta, la capacità di adattamento, il background sociale, l’istruzione, la professione e l’esperienza passata e attuale (eventi della vita passata e eventi contemporanei), modelli di comportamento generali e stili caratteriali, che possono giocare un certo ruolo nella disabilità a qualsiasi livello” (ICF vers. breve, Erickson 2004, pp. 32-33).

I “fattori personali” non sono parte della condizione di salute dell’individuo.

Ricapitolando, la condizione di salute è la risultante dell’interazione tra:

-              Aspetti biomedici e psicologici della persona (funzioni e strutture corporee)

-              Aspetti sociali (attività svolte nella quotidianità e tipo di partecipazione)

-              Fattori contesto (fattori ambientali e personali)

Ognuno di noi può trovarsi in un contesto ambientale precario e ciò può causare disabilità.

Per questo motivo la parola “disabilità” deve iniziare ad essere compresa in modo più liquida perché ognuno di noi ha fatto esperienza della disabilità. Comprenderla è la chiave per avvicinarsi maggiormente alla “disabilità” con strumenti in grado di aiutare ed intervenire su quei fattori che la rendono tale.

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