ROMA - La donna ha raccontato che prima di capire che erano le protesi a causare quei problemi ha attraversato un periodo di grande sofferenza: "Non sapere perché stavo così male è stato terribile". Una volta capita la ragione, "non potevo credere come i medici avessero potuto inserire quelle cose nel mio corpo". Olivier Aumaitre, l'avvocato che rappresenta le 2.700 vittime delle protesi Ppi, ha commentato positivamente la decisione dei giudici d'appello: "Rappresenta un punto di svolta" che con tutta probabilità "porrà fine a lunghi anni di dubbi fine al lungo periodo di dubbio che abbiamo attraversato in tanti anni. L'entità del risarcimento sarà ampiamente aperto per le vittime".
LA DENUNCIA - A denunciare la pericolosità delle protesi dell'azienda Ppi fu per prima l'Agence française de sécurité sanitarie des produits de santé, dopo aver ricevuto delle segnalazioni di danni alla salute e anche alcuni casi di morti sospette. Ottenuti accertamenti, nel 2010 l'Agenzia ne ordinò l'immediato ritiro dal mercato e dispose che tutte le donne che le avevano ricevute - non meno di 30.000 in tutto l'Esagono - venissero richiamate in ospedale per ottenere l'espianto e la sostituzione. L'azienda Ppi fu immediatamente chiusa e il suo proprietario è già stato condannato al carcere. Le indagini della magistratura francese rivelarono che l'azienda, con sede in Provenza, aveva accumulato un forte deficit di bilancio e per questo aveva optato per l'acquisto di materiali scadenti per continuare a produrre i dispositivi sanitari.
FONTE AGENZIA DIRE
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