Episodi di violenza a scuola: non funziona il patto di corresponsabilità educativa? Ritorniamo al gentlemen’s agreement!
ROMA – Le aggressioni subite dal personale scolastico (dirigenti scolastici, docenti e personale amministrativo, tecnico e ausiliario – ATA), ben 19, in questa prima parte dell’anno scolastico in corso, determinano una comprensibilissima preoccupazione a tutti i livelli, soprattutto se si considera che negli anni scolastici 2022-23 e 2023-24 si erano già registrate rispettivamente 36 e 68 aggressioni.
Numeri, quelli contenuti in una statistica elaborata dal Ministero dell’Istruzione e del Merito e illustrata proprio in occasione della presentazione, lo scorso 12 dicembre, della “Giornata di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti del personale scolastico” [giornata istituita dalla legge 4 marzo 2024, n. 25, che si celebra ogni anno il 15 dicembre n.d.r.], che, se letti più nello specifico, ci dicono: che gli episodi di violenza (fisica e verbale) in ambito scolastico riguardano soprattutto il secondo ciclo d’istruzione; che i più “bersagliati” dagli stessi sono i docenti; che tra gli autori della violenza è una “sfida”, in termini di prevalenza, quasi alla pari tra familiari degli studenti e quest’ultimi; che rispetto alla ripartizione territoriale degli episodi, nel periodo di riferimento, primeggiano alcune regioni (ma non è evidentemente questo un record di cui andare particolarmente fieri), fermo restando che per esse tale stato di cose non necessariamente è indicativo dell’esistenza di nessi causali, di rapporti di causa ed effetto tra riscontrati fattori/condizioni peculiari e numeri rilevati.
Numeri che stando a un recente sondaggio svolto da SWG su commissione del Ministero dell’Istruzione e del Merito, con cui si sono scandagliate anche le possibili misure per contrastare il fenomeno, a parere degli intervistati costituiscono, in prevalenza, la conseguenza di fattori esterni alla scuola. Più esattamente, secondo l’ordine di priorità espresso: le difficoltà delle famiglie; la mancanza di rispetto per gli insegnanti e l’autorità scolastica; l’esaltazione e la diffusione degli episodi di violenza sui social; l’emulazione di comportamenti violenti diffusi dai social; la società violenta nel suo complesso; la presenza di studenti violenti che non rispettano le regole; la mancanza di regole chiare e sanzioni severe in caso di violazione delle stesse.
Non vi è dubbio che tra fattori indicati quelli riconducibili ai social possono incidere sugli episodi di violenza in questione, considerato che i social e la dipendenza tecnologica in genere limitano lo sviluppo cognitivo e la capacità di ragionamento dei giovani, li espongono a contenuti violenti che possono portarli a una normalizzazione e pratica degli stessi nella vita reale, allontanano i giovani dalla realtà e li rendono meno consapevoli delle conseguenze che discendono dalle proprie azioni, anche violente, non educano in generale alla responsabilità. In tal senso, i social rendono obiettivamente più difficile la vita sia ai genitori degli studenti, sia agli operatori della scuola che essi frequentano.
Così come non è vi è dubbio che se tra gli studenti vi sono anche quei giovani che in occasione di manifestazione osano mettere a ferro e fuoco intere città, sfidano apertamente le forze dell’ordine aggredendole, la “semplice” violenza fisica o verbale praticata nei confronti di docenti o di personale ATA potrebbe costituire, per loro, un’attività assolutamente ordinaria, fors’anche di poco conto.
Ma a parere di chi scrive, la chiave di lettura principale del fenomeno che qui si esamina sta nel primo degli indicati fattori ossia “le difficoltà delle famiglie” – locuzione la cui genericità e indeterminatezza si presta a diverse opzioni interpretative – che, a ben vedere, si collega anche alla domanda in intestazione, vale a dire all’efficacia del patto di corresponsabilità educativa.
Il patto di corresponsabilità educativa punta oggi a rendere scuola e famiglia, ciascuna nel rispetto del proprio ruolo e dei corrispondenti compiti e responsabilità, sempre collaborative, mai antagoniste, disposte a costruire un unico punto di riferimento formativo, mentre in passato, oramai molti lustri fa, tale patto consisteva non in un documento formale, codificato, ma in una virtuale “stretta di mano”, in un tacito “gentlemen’s agreement“ (“accordo fra gentiluomini”) tra docenti e genitori, basato fondamentalmente sulla consapevolezza (non sul riconoscimento) e sul rispetto del ruolo e dell’autorità dei primi da parte dei secondi, con lo studente che, al centro di tale accordo, era pienamente cosciente che gli uni e gli altri avrebbero viaggiato sempre all’unisono, sulla base di un sodalizio inscalfibile.
Ma è proprio qui il punto!
In un contesto normale, verrebbe da dire in un Paese normale, per quale misteriosa ragione i genitori dello studente dovrebbero riconoscere, attraverso un documento sottoscritto, alla scuola – ossia a una istituzione, in prevalenza pubblica, che svolge una missione secondo regole dello Stato – un ruolo di fondamentale importanza per costruire il futuro e promuovere la formazione culturale?
Per quale motivo, sempre i genitori degli studenti, dovrebbero impegnarsi (?!) a rispettare le scelte educative e didattiche della scuola?
O ancora, per quali ragioni scuola e genitori dovrebbero reciprocamente impegnarsi (?!) per un consono e diligente svolgimento rispettivamente di attività istituzionali e di compiti legati all’ordinario esercizio della responsabilità genitoriale (custodire, allevare, educare e istruire, amministrare i beni, rappresentare e compiere negozi giuridici)?
Domande, quelle riportate, che ne solleticano un’altra: ma non sarà forse il caso di ritornare, responsabilmente, al tacito “accordo fra gentiluomini” sul presupposto della doverosa e non negoziabile consapevolezza, da parte della famiglia (genitori più studenti), del ruolo istituzionale della scuola e dei suoi operatori?