Saudi Pro League: campionato di calcio del futuro o solo una “bolla di sapone”?

ROMA – La Saudi Pro League (SPL) vuole dichiaratamente diventare uno dei primi dieci campionati di calcio al mondo, sotto i più diversificati aspetti, da quello tecnico a quello mediatico. A sentire Cristiano Ronaldo, una delle star del calcio europeo che, oramai giunte al capolinea, sono approdate in Arabia Saudita con vagoni di milioni di euro al seguito (ma anche con accordi fiscali bilaterali che concedono di pagare zero imposte a chi vive nel Paese per un minimo di giorni all’anno), la SPL può addirittura diventare una delle prime cinque leghe al mondo e il suo livello tecnico, già buono, è destinato a migliorare con l’arrivo di altri campioni. Campioni che, sulla scia del portoghese, per certi aspetti un vero e proprio apripista, un simbolo di questa nuova corsa all’oro, sono a seguire arrivati e non tutti già propriamente incamminati sul viale del tramonto: da Benzéma a Jota, da Brozović a Koulibaly, da Neves a Firmino, da Kanté a Milinković-Savic, solo per citarne alcuni.

Una delle domande più ricorrenti è: ma quali sono le ragioni che spingono gli arabi a investire così ingenti risorse finanziarie nel calcio? Una domanda dalle possibili risposte così estese e distinte che, inevitabilmente, non poteva non intrigare le migliori menti del giornalismo, soprattutto in un Paese come il nostro in cui sono particolarmente sparsi sia i condizionamenti della stampa da parte di fattori esogeni ed endogeni, sia la tendenza della stessa a ricercare ombre, sensazionalismi e complottismi vari. Così si è passati, in rapida e concisa sequenza: dal tentativo dell’Arabia Saudita di tacitare la coscienza attraverso il pallone – nascondendo dietro ai grandi volti del mondo del calcio problemi che vanno dalla criminalizzazione dell’omosessualità alle limitazioni alla libertà di parola e ai diritti delle donne – a una grossa operazione di marketing per catalizzare interessi e capitali vari sul Paese, anche attraverso la divulgazione di messaggi positivi da parte di calciatori con un grande seguito sui social media; dalla prospettiva di crescita dei giocatori sauditi con l’affiancamento di grandi campioni a un’operazione tesa, insieme ad altre grandi operazioni (si pensi solo a Expo 2030), a farsi assegnare il Mondiale di calcio del 2034; dal modificare l’immagine nel mondo dell’Arabia Saudita promuovendosi, attraverso il calcio, come meta turistica, alla strumentalità della SPL al “Saudi Vision 2030”, progetto presentato nel 2016 che, con una linea temporale di quindici anni, si propone(va) una transizione economica, industriale e culturale del Paese, in specie diversificando un’economia dipendente quasi totalmente dagli introiti (in diminuzione) provenienti dalla lavorazione del petrolio, migliorando il sistema educativo, sviluppando nuove infrastrutture, privatizzando alcuni settori strategici, promuovendo un comparto pubblico dell’intrattenimento e del turismo e la nascita di una politica sportiva di livello internazionale. E in tutto questo – senza ovviamente mancare, a proposito del richiamato complottismo, la regia occulta di questa o quella potenza mondiale che, attraverso l’Arabia Saudita, prova a ridisegnare equilibri a proprio favore – il calcio ossia lo sport più seguito dai sauditi non poteva non giuocare un ruolo centrale: di qui anche l’ingresso nella SPL del Public Investment Fund (PIF), dotato di centinaia di miliardi di dollari, con cui il governo saudita ha acquisito il controllo di alcuni club della SPL.

Ma la domanda ulteriore è: la SPL ha il futuro disegnato dalle autorità saudite o è il classico “fuoco di paglia”?

Domanda questa più impegnativa della precedente, anche se le possibili risposte sono solo due.

Il calcio è indubbiamente business, affari che interessano oltre a società e giocatori anche procuratori vari ossia tutti soggetti che oggi ritengono, a ragione, di aver trovato nella SPL la nuova Mecca: in tal senso, si pensi ai milioni introitati per gli ingaggi, per le commissioni, per le cessioni a prezzo gonfiato di giocatori, compresi quelli che non rientravano nei piani delle società venditrici. Ma il calcio è anche altro, è competizione, fattore tecnico, tradizione e storia calcistica, geografia, maglie e stadi che trasudano di passioni, di emozioni, talvolta di leggende, che un bambino che inizia a tirare i primi calci a un pallone, chiudendo gli occhi, sogna un giorno di poter rispettivamente indossare e calcare, anche pagando, con la speranza di poter correre sotto quella curva, traboccante di colori e di assordante e folle entusiasmo, per poterla idealmente abbracciare, così emulando il proprio idolo. Ma il calcio è anche il prestigio, la popolarità e la visibilità che ti deriva dal giocare o vincere solo certi campionati, solo certe coppe, solo certi premi individuali, è battere record stabiliti da altri giocatori ossia tutti elementi che i soli soldi non sempre bastano a capovolgere. E a ben vedere è proprio l’assenza di questi elementi nella SPL che ha portato alcuni campioni (ancora tali per età e competitività), non serve fare i nomi, a rinunciare alle lusinghe avanzate dalla stessa a suon di decine se non di centinaia di milioni di euro l’anno, non cedendo alla sete di “più” danaro, con la particella “più” che assume un significato logico discriminante perché comunque parliamo di atleti che anche in Europa percepiscono ingaggi elevatissimi. E la mancanza di quegli stessi elementi ha portato, nel tempo, scommesse calcistiche simili alla SPL a fallire rispetto ai propositi annunciati: è il caso del campionato della Cina, degli Stati Uniti (gli ormai “anonimi” Messi, Busquets e Jordi Alba giocano lì) e del Giappone. Nel caso della SPL, poi, ci sono ulteriori fattori ostativi all’obiettivo inseguito, che vanno dalle difficili condizioni climatiche agli impianti non all’altezza, dalle regole agli stili di vita difficili da fare propri per chi proviene da altri mondi.

Ritornando alla domanda prima formulata, la risposta per chi scrive è tracciata dalle considerazioni avanti sviluppate, mentre ci sarebbe la seguente domanda da rivolgere ai tanti addetti ai lavori che solo uno o due anni fa professavano certezze assolute circa il successo della SPL: confermereste oggi la vostra profezia? Sempre a parere di chi scrive, se ci si limitasse a valutare il verosimile calo delle spese che sosterrà la SPL per cartellini e ingaggi in questa stagione rispetto alla precedente, che alcuni calciatori arrivati nella SPL hanno fatto ritorno al calcio europeo, la diminuzione delle presenze negli stadi, i bassissimi ricavi dei diritti televisivi, si ritiene che sia faticoso confermare quella previsione.

 

FOTO: Saudi Pro League