Save the Children lancia l’allarme: in Italia troppa diseguaglianza educativa a scuola

ROMA – Solo due bambini su cinque della scuola primaria hanno accesso al tempo pieno, meno della metà degli alunni della scuola primaria e secondaria di primo grado fruisce di una palestra e di una mensa, livelli di dispersione scolastica tra i più alti in Europa, profonde differenze territoriali: questi, in sintesi, i dati che emergono da un Rapporto elaborato da Save the Children Italia e che spingono tale Associazione a lanciare, in occasione della ripresa dell’anno scolastico, il relativo grido di allarme. Campanello di allarme che, sempre secondo l’Associazione, dovrebbe «(…) spingere a realizzare al più presto un’analisi di impatto sulla povertà educativa di tutti gli investimenti della missione 4 del Pnrr, dedicati all’istruzione (…)».

Il tema centrale è, appunto, quello della “povertà educativa”. Ma cosa s’intende per “povertà educativa”? Con il concetto di “povertà educativa” si indica generalmente la privazione o la compromissione per il minore della possibilità di “apprendere”; in altri termini, un minore che si trovi in una condizione di “povertà educativa” vede privato o leso/compromesso il suo diritto a formarsi, a sviluppare capacità, competenze e talenti e, dunque, a coltivare aspirazioni collegate.

Naturalmente c’è un nesso diretto e molto stretto tra povertà materiale e “povertà educativa”: non vi è dubbio, infatti, che il minore che versi in condizioni economiche difficili abbia maggiori probabilità di abbandonare gli studi prematuramente (dispersione scolastica), veda ridotte le proprie opportunità di apprendimento e di crescita culturale e corra il rischio di una marginalizzazione. Più esattamente, dalla privazione materiale dei genitori a quella educativa dei minori il passo è breve e determina una sorta di concatenazione viziosa della “povertà”, che rischia di tramandarsi di generazione in generazione.

Ritornando al Rapporto di cui sopra, certamente la “povertà educativa” discende anche dal fatto che è molto basso il numero delle classi che nella scuola primaria e secondaria di primo grado offrono il “tempo pieno” e, con esso, la possibilità, soprattutto per i minori maggiormente sfavoriti dal punto di vista economico, di svolgere attività di sostegno allo studio (quali corsi di recupero e compiti) ed extrascolastiche (come sport, arte e musica). In tal senso, l’estensione del “tempo scuola” anche oltre l’orario curricolare, concorrerebbe a contrastare la “povertà educativa”.

Ma anche un’alimentazione sana, come quella che potrebbe essere offerta dal servizio mensa/refezione delle scuole, contribuisce al benessere educativo dei minori; tale servizio, tuttavia, è attualmente inquadrato come un “servizio a domanda individuale” e, come tale, è a pagamento: la sua fruizione da parte degli alunni/studenti dipende pertanto dalla possibilità per i rispettivi genitori di sostenerne i relativi costi, cosa questa che non si presenterebbe qualora lo stesso servizio venisse previsto  come livello essenziale delle prestazioni sociali (LEP). In generale, sostenere il reddito delle famiglie per l’acquisto di materiale scolastico (quali libri, dispositivi tecnologici e connessioni, anche per lo studio a casa), per il benessere psico-fisico e sociale dei minori (ad esempio abbonamento ai mezzi di trasporto pubblici, copertura delle spese di alimentazione, abitative, ecc.) e per lo svolgimento da parte degli stessi di attività extrascolastiche (viaggi di istruzione, uscite didattiche, servizi educativi a pagamento, ad esempio abbonamenti sportivi, attività culturali o ricreative), sono tutte misure atte a prevenire e contrastare la “povertà educativa”. Interventi, quelli indicati, diversificati e onerosi, anche dal punto di vista economico, la cui realizzazione richiede un composito insieme di istituzioni/autorità/soggetti pubblici e privati a ciò preposti, possibilmente in collaborazione con attori del Terzo settore presenti nel territorio.