Elezioni Usa: sfida all’ultimo voto fra Trump e Harris, in una corsa fin qui esilarante e sconcertante!
ROMA – Alla vigilia delle presidenziali USA, il dato certo, stando ai sondaggi, è che il repubblicano Donald Trump e la democratica Kamala Harris sono testa a testa, con il Paese sostanzialmente spaccato in due.
Ci sono, come capita spesso in tali elezioni, degli Stati in bilico che decideranno chi dei due andrà alla Casa Bianca, ma nella circostanza affidarsi ai sondaggi per sbilanciarsi in una previsione su come finirà la sfida risulta un chiaro azzardo, tenuto conto che il vantaggio che gli stessi attribuiscono all’uno o all’altro candidato rientra, stante la sua esiguità, entro il margine di errore statistico. E, in tale direzione, non aiutano nemmeno le medie dei sondaggi, considerato che tutti i sondaggisti, prudenzialmente, da giorni si rifugiano dietro frasi come «this election is too close to call» («questa elezione è ancora troppo incerta»).
Una corsa, quella alle presidenziali, che troverà il suo epilogo, almeno in termini di espressione di voto, domani 5 novembre, e caratterizzata fin qui da situazioni e momenti a dir poco singolari se non, per certi aspetti, esilaranti e sconcertanti.
Si è passati infatti dalle ripetute cadute e gaffe di Joe Biden prima del ritiro dalla competizione, alla sua sostituzione con Kamala Harris e al conseguente disorientamento procurato alla squadra di Trump, costretta così a rivedere la propria strategia in precedenza tutta impostata sull’inadeguatezza di Biden a poter svolgere un secondo mandato. Seguiva poi il grave episodio, questo sì per nulla divertente, del tentativo di assassinio di Trump, fortunatamente fallito mentre interveniva durante un comizio, con Trump medesimo che successivamente si presentava alla convention del suo partito con una garza sull’orecchio sfiorato da un proiettile in occasione dell’attentato e con i suoi sostenitori che lo emulavano portando anche loro la benda sull’orecchio, in segno di solidarietà e di amore nei suoi riguardi. Singolare anche l’episodio di Trump che condivideva le immagini false, generate dall’intelligenza artificiale, che gli attribuivano il sostegno per le elezioni della popstar Taylor Swift, salvo poi dichiarare di odiare la medesima non appena veniva a conoscenza che avrebbe appoggiato Harris. Anche l’assistente vocale Alexa entrava nella partita elettorale, fornendo, prima delle correzioni apportate da Amazon, un elenco di motivi per cui si sarebbe dovuto votare per Harris. Ancora Trump accusava gli immigrati di mangiare gli animali domestici di coloro che vivono in una città dell’Ohio, finendo così per ergersi a una sorta di protettore degli animali stessi; non da meno Tim Walz, candidato vicepresidente per il Partito Democratico, che definiva Elon Musk, il miliardario proprietario della piattaforma di social media X e grande sostenitore di Trump, quanto a uno che «saltella e balla come un co…one», mentre Joe Biden qualificava i sostenitori di Trump «spazzatura», definizione cui non poteva mancare la replica di quest’ultimo che, salito a bordo di un camion per l’appunto della spazzatura, dichiarava «Questo è in onore di Kamala e Joe Biden». Senza contare le accuse reciproche tra i due candidati, con Trump che per Harris sarebbe un fascista con vocazioni dittatoriali, e Harris che per Trump sarebbe una pazza radicale di sinistra.
Insomma, un bel campionario di momenti e situazioni, che farebbero di sicuro impallidire il nostro “politicamente corretto”, ma che danno anche la dimensione dell’attuale polarizzazione, negli USA, della politica e dell’informazione corrispondente.
Naturalmente le elezioni presidenziali statunitensi sono, per il “peso” e le “influenze” (a partire dalla politica estera, economica e militare) che gli USA esercitano nel mondo, un evento globale, che attira la massima attenzione da parte di tutti gli altri Stati, proprio perché il successo di un candidato o dell’altro e dei relativi partiti, determina comunque degli effetti, diversi, sugli Stati stessi. Si pensi, solo a titolo esemplificativo, alle possibili conseguenze sugli attuali e allarmanti conflitti militari in Ucraina e Medio Oriente.
Ne deriva che all’interno di ogni Stato si finisce per “tifare” per questo o quel candidato, prima ancora che per valutazioni attinenti alla riconducibilità del medesimo a una certa “area politica”, verosimilmente in considerazione delle scelte, dichiarate o prevedibili, che su determinate questioni questi farà in caso di elezione.
Ritornando all’esito dello scontro serratissimo fra Trump e Harris, si ritiene che finirà per vincere chi dei due meglio interpreterà il “sogno” americano del momento o, forse e meglio, quello dei due che interpreterà, tra i diversi “sogni” americani, quello allo stato prevalente nell’opinione pubblica.
E in questo particolare momento, il “sogno” americano potrebbe essere molto meno “ideale” che in passato – come il “sogno”, che Barack Obama riuscì a incarnare, per cui chiunque, anche un giovane afroamericano senza padre e radici, può trovare la sua strada e l’affermazione o il “sogno” per cui la guida degli Stati Uniti non può che essere riservata a un americano “autentico” – e più rispondente invece ai disagi, alle difficoltà che il popolo americano sta vivendo.
Ci si riferisce alla povertà sempre più diffusa e stratificata nella classe media, alla crescente inflazione e alla collegata contrazione del potere di acquisto, alle difficoltà in alcuni Stati di trovare un lavoro dignitoso, alla complessità della ricollocazione nel mercato del lavoro da parte di alcune categorie di lavoratori espulse dallo stesso ossia a esigenze di vita concrete, sostanziali, con la conseguenza che potrebbe spuntarla quello, tra i due candidati, che meglio interpreti tali esigenze e soprattutto che appaia più credibile agli occhi degli americani ai fini del soddisfacimento delle stesse.