“Inverno demografico” italiano? Sempre più da brividi!

ROMA – Con la locuzione “inverno demografico”, di chiara matrice sociologica, s’intende l’aumento dell’età media della popolazione e il suo conseguente invecchiamento.

Alcuni degli ultimi dati ISTAT, relativi al 2023, fotografano più di altri tale fenomeno e danno la misura della sfida generazionale, senza precedenti, che si trova dinanzi il nostro Paese: il tasso di natalità è sceso al 6,4 per mille (ossia di fatto circa 6 bambini nati vivi ogni 1.000 residenti) e le nascite (379.890 nati vivi residenti) sono diminuite, rispetto al 2022, di circa 14mila unità (-3,4%); il tasso di fecondità totale (TFT), che esprime il numero medio di figli per donna in età feconda (15-49 anni), è sceso a 1,2 figli per donna ossia a un valore di molto inferiore a quello, pari a 2,1 figli per donna, che assicura a una popolazione di riprodursi mantenendo la propria stabilità numerica e costante la sua struttura.

Ed è proprio il prolungato periodo di tempo con un TFT notevolmente basso, attestato negli ultimi 20 anni all’incirca a 1,3 figli per donna, che ha finito gradualmente per assottigliare la platea dei potenziali genitori e innalzare la loro età, rendendo sempre più complicata una ripresa delle nascite. Va detto, tuttavia, che tale tendenza è risalente ai primi anni ’70, in cui è iniziata la progressiva uscita della generazione del boom economico dall’età riproduttiva, la fine del c.d. periodo “baby boom” – che aveva toccato il suo apice nel 1964, con addirittura oltre un milione di nati vivi residenti (1.034.000) e ben 2,7 figli per donna – una continuata denatalità, che solo nel 2008 registrava un’inversione con un aumento delle nascite (576.659 nati vivi residenti) rispetto all’anno precedente.

Indicativi, in merito a tale tendenza demografica, anche: la significativa contrazione della popolazione femminile nella fascia di età convenzionalmente riproduttiva (15-49 anni), passata negli ultimi 20 anni da 13,8 milioni nel 2004, a 13,4 milioni nel 2014 e a 11,5 milioni nel 2024, con un calo complessivo, in tale periodo, di quasi 2,5 milioni delle donne in età feconda; il fatto che è via via crescente il numero di donne in età feconda che non hanno figli o che diventano madri a un’età sempre più elevata, come dimostra il fatto che l’età media al parto è passata dai poco più di 28 anni nel 1970 agli oltre 32,5 anni del 2023 e che l’età media al primo parto è passata negli stessi anni rispettivamente da poco più di 25 anni a ben oltre 31 anni.

Ma in tal senso, rilevano gli esperti, ha inciso sul fenomeno anche una drastica riduzione della fecondità della donna, come dimostra l’aumentato ricorso alla donazione degli ovociti o gameti femminili (cellule speciali deputate alla funzione riproduttiva), riduzione della fertilità femminile che verosimilmente non è dissociata da fattori quali stile di vita e alimentazione inadeguati, consumo eccessivo di alcol, fumo ed esposizione a sostanze tossiche, che incidono negativamente sulla stessa.

I numeri esposti, sintomatici di gravi e strutturali problemi di natura economica, sociale e forse anche culturale, assicurano all’Italia dei primati non propriamente invidiabili tra i paesi europei, come: uno dei più bassi indici di natalità; una delle età medie più alte per la prima gravidanza; una delle popolazioni più anziane, con gli individui ultrasessantacinquenni che sono quasi 14,5 milioni ossia oltre il 24% della popolazione totale e gli individui ultraottantenni che sono oltre 4,5 milioni e superano il numero dei bambini sotto i 10 anni di età, pari a circa 4,4 milioni.

Insomma, una dinamica di progressivo calo demografico che pone una seria ipoteca sul futuro del Paese, con il mancato ricambio generazionale destinato a diventare insostenibile per il sistema economico, per effetto in particolare della diminuzione delle persone in età lavorativa, ma anche, e consequenzialmente, per il sistema sociale, previdenziale e sanitario, con inevitabili e gravi ripercussioni soprattutto sulle fasce più deboli della popolazione.

Uno stato di cose, quello relativo alle dinamiche demografiche descritte, che ha radici strutturali, che dipende da molteplici fattori/cause e che necessita di immediate e non più differibili misure di contrasto a tutto tondo, la cui individuazione e soprattutto attuazione sono necessariamente destinate a diventare sempre più obiettivi prioritari per il nostro Paese, semplicemente perché è in giuoco il suo futuro. A tale riguardo, considerato che sempre i dati ISTAT relativi a gennaio-luglio 2024 ci dicono che rispetto allo stesso periodo del 2023 le nascite sono 4.600 in meno, l’auspicio che si può esprimere è che i decisori politici non si illudano che esista una ricetta che magicamente possa invertire tali tendenze demografiche o, peggio ancora, che la soluzione possa consistere in dei palliativi, in dei rammendi tampone, come il progressivo spostamento in avanti dell’età pensionistica in ambito previdenziale.