Buoni genitori si nasce o si diventa?
ROMA – Chiunque, nel ruolo di genitore, si sarà posto almeno una volta, anche solo non dichiaratamente, la domanda in intestazione, specialmente in quelle fatali occasioni in cui il rapporto con il proprio figlio si faceva più carico di tensioni e contrasti e di collegate apprensioni.
Spesso, anche confrontandoci con altri genitori, ricorriamo a frasi che forse rappresentano una forma di discolpa e che, in maniera un po’ egocentrica, mitigano la responsabilità delle proprie decisioni e azioni, tipo: “non esiste il manuale del genitore perfetto”, “essere dei buoni genitori è il mestiere più difficile del mondo”, “la società in cui viviamo è troppo complessa e caotica, ci assorbe totalmente, riduce il tempo disponibile per la famiglia, al punto da rendere difficilissimo il mestiere di genitore e, prima ancora, la genitorialità ossia l’idoneità a ricoprire effettivamente il ruolo di padre o di madre”.
Ma in fondo quelle frasi, a ben vedere, ci stanno a indicare che buoni genitori non si nasce, si possono avere maggiori o minori attitudini a esserlo come per qualunque altro ruolo nella vita, e che probabilmente lo si diventa solamente intraprendendo un duraturo e articolato viaggio, diretto a costruire e coltivare un legame con il proprio figlio.
Un legame destinato a evolvere parallelamente al progredire dell’età di ciascuna delle parti, attraverso fasi o stadi distinti non solo sotto il profilo dei rapporti di successione o evoluzione instaurati all’interno della nozione di “tempo” e che implicano, inevitabilmente, sfide e criticità peculiari e ugualmente difficili.
In tal senso, rivelatore risulta il sempre valido adagio popolare “Figli piccoli, guai piccoli! Figli grandi, guai grandi!”, perché in fondo fotografa pienamente come il carico genitoriale progredisce nel corso dell’evoluzione del ciclo di vita della famiglia.
A nessun genitore sfugge, infatti, che mentre nella fase generativa iniziale ogni sforzo è indirizzato ad accudire il figlio e a prendersene totalmente cura con tutte le ansie e le paure che ne conseguono, già dalla prima infanzia si manifesta, invece, anche la necessità di trasfondergli dei concetti rivolti a incanalarne la crescita nella direzione del rispetto di regole comportamentali, regole finalizzate a tracciare i confini e i limiti tra ciò che è consentito e ciò che non lo è, secondo la propria (del genitore) visione della vita.
È durante la fase adolescenziale, poi, che iniziano, per così dire, i “guai grandi”, trovandosi il genitore ad affrontare la condizione in cui il figlio oscilla fra il bisogno di appartenenza al rassicurante e sicuro contesto familiare e il bisogno di separarsi e differenziarsi, anche in contrasto e opposizione, dallo stesso.
È la fase obiettivamente più difficile per i genitori, in cui il figlio comincia a costruire la propria personalità, avverte ancora il bisogno di protezione ma al contempo vuole essere indipendente, ed è esattamente questa ricerca dell’indipendenza, associata al tentativo dei genitori di esercitare un controllo sempre più penetrante e stringente, anche per il timore che cattive frequentazioni possano portarlo sulla “cattiva strada”, che a volte determinano nel figlio stesso delle reazioni eccessive, finanche con il pronunciamento di frasi che feriscono terribilmente i genitori o con condotte che mai si sarebbero potuto aspettare.
Ritornando al tema in esame, se si parte dal convincimento che buoni genitori si diventa e che in tale percorso non esiste una ricetta magica – piuttosto un insieme di ingredienti che, associati a un pizzico di fortuna rispetto a fattori che i genitori non possono governare direttamente, conducono a un approdo favorevole del percorso stesso – a parere di chi scrive, sulla base della propria personale esperienza, uno degli errori da evitare è quello di provare a impostare il rapporto con il figlio ispirandosi al rapporto che si sarebbe voluto e che poi non è stato con i propri genitori. Tale atteggiamento, infatti, ignora che ogni figlio ha una dimensione psichica ed emotiva, che non necessariamente coincide con quella dei suoi genitori alla stessa età. In altri termini, pensare che i figli siano la copia carbone dei genitori o le loro ombre costituisce probabilmente il modo migliore per rendere più problematico il rapporto.
Così come si ritiene che sia sbagliato il tentativo del genitore che si atteggi da amico del proprio figlio e provi quindi a sostituirsi ai suoi amici, perdendo in tal modo quella autoritarietà nel rapporto che pure è fisiologica in quanto legata a un “potere” di ruolo o decisionale a cui il genitore non può sottrarsi.
E poi di sicuro, sempre partendo dalla personale esperienza e facendo ammenda dei propri errori da genitore, non guasta il ricorrere a semplici regole di buon senso, come imparare ad ascoltare i propri figli, cercare di comprenderne i bisogni e essere possibilmente più presenti nella loro vita, chiedendogli di raccontare le loro giornate senza essere invadenti, il tutto “condito”, a proposito dei riferiti ingredienti, da massicce dosi di amore che i genitori non possono non riservare ai figli ossia a ciò che è più importante della loro vita.