La crocifissione bianca, Chagall a Roma è un’occasione di riflessione nella Giornata della memoria
ROMA – Un uomo crocifisso, avvolto in un silenzio carico di devozione, illuminato completamente da un fascio di luce, si staglia su uno sfondo caotico di orrore e devastazione.
Lo spettatore che si trova di fronte a La Crocifissione bianca di Marc Chagall non può che provare un senso di smarrimento e di profondo rispetto contemplando questa grande tela, esposta, significativamente fino al 27 gennaio (Giornata della Memoria), nel Nuovo Museo del Corso a Roma in occasione del Giubileo 2025. L’opera, conservata presso l’Art Insitute di Chicago e per la prima volta in Italia, rappresenta una delle tele più toccanti della figurativa denuncia di Chagall nei confronti dell’olocausto. L’autore dipinge questo quadro nel 1938, a testimonianza del pogrom del 9 e 10 novembre di quello stesso anno, passato alla storia come “La Notte dei Cristalli”.
L’episodio in questione vede il divampare di un’ondata di atrocità perpetuate indistintamente da membri del Partito nazionalsocialista, dalle SS, dalle SA, dalla Gestapo e da civili tedeschi contro gli ebrei, a coronamento di una campagna antisemita, che aveva già portato a escalation di violenza nel 1933 e nel 1935, oltre che a sistematiche misure politiche (Leggi di Norimberga).
Quella notte, però, la violenza raggiunge livelli inimmaginabili e si scaglia contro persone, luoghi di culto, proprietà e negozi ebraici – dalle cui vetrine rotte deriva il nome derisorio di “notte dei cristalli” – . Un odio furioso e folle che, da quel momento, avrebbe portato a scrivere la pagina più bassa della storia dell’umanità.
Chagall, ebreo nato in Bielorussia e trasferitosi a Parigi, traduce questo orrore in chiave lirica e onirica, riuscendo a far dialogare le tinte più fosche con delicate sfumature di speranza.
L’immagine di Cristo, che apre le braccia su una Croce alla quale era stato inchiodato ingiustamente – coperto dal solo tallit (lo scialle di preghiera ebraico) – diventa quella della vittima per eccellenza, ebreo tra gli ebrei. Eppure, nonostante la violenza alla quale è stato condannato, la sua figura campeggia con serena maestà sulla scena e sembra voglia cingere in un abbraccio di speranza l’intera umanità, di cui il popolo ebreo sullo sfondo diventa portavoce.
Intorno alla Croce dilaga la violenza: un villaggio saccheggiato e dato alle fiamme, una barca che cerca invano un approdo, uomini in fuga, una madre che tiene in braccio il suo bambino, una sinagoga e la Torha in fiamme, quattro figure fluttuanti e sgomente in alto dietro alla croce.
Il tutto descritto con il tipico linguaggio visionario di Chagall, che non dimentica la lezione della spazialità cubista, ma la rielabora con un’inventiva assolutamente personale, che non recide mai il legame con le tradizioni popolari della sua terra e con la sua religione, ma che ricerca una chiave di lettura universale, e che, attraverso guizzi di colore ben ponderati carichi di significato su uno sfondo monocramo, dimostra di aver fatto tesoro anche della lezione fauves. Uno stile inconfondibile che diventa veicolo per una riflessione sull’essenza dell’essere umano, sulle sue contraddizioni, sui suoi eccessi e sulle sue speranze.
E allora, la Crocifissione bianca, non è solo la testimonianza di un episodio e di un passato atroce, ma diventa emblema universale: speranza e monito per tutti i popoli.
Papa Francesco, grande estimatore dell’opera, ne coglie il senso, apprezzandone il “dolore pieno di serenità” che riesce a trasmettere. Una serenità che nasce dalla consapevolezza della redenzione, ma che non ignora l’orrore.
Proprio contemplando questo dolore–sereno, infatti, possiamo (forse) avvicinarci anche alle pagine più raccapriccianti della storia, senza distogliere gli occhi.
Affinché la memoria di quello che è stato non si riduca a un mero esercizio celebrativo, ma sia il motore di un’indagine consapevole sulla nostra natura di esseri umani.