La Cassazione “boccia” il c.d. Decreto Sicurezza
ROMA – Il decreto-legge n. 48/2025, di recente convertito in legge n. 80/2025 e noto anche come “Decreto Sicurezza”, presenterebbe, secondo una circostanziata relazione di 129 pagine (la n. 33/2025 n.d.r.) elaborata dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo – Servizio Penale della Corte di Cassazione (di seguito: “Ufficio”), criticità sia di “metodo”, sia di “merito”.
I rilievi dell’Ufficio vanno dalla mancanza dei presupposti giustificativi della decretazione d’urgenza alla estrema disomogeneità ed eterogeneità dei contenuti del testo normativo, per finire con il rischio di sanzioni irragionevoli.
Segnatamente, con specifico riferimento al “metodo”, l’Ufficio eccepisce che non sarebbero sussistite le situazioni straordinarie di necessità e urgenza, ex articolo 77 della Costituzione, per adottare un decreto-legge, situazioni che, in evidente contrasto con la giurisprudenza della Consulta, sarebbero state solo apoditticamente enunciate. In altri termini, essendo stato sostanzialmente “trasfuso” in un decreto-legge un disegno di legge già al vaglio del Parlamento, secondo l’Ufficio di fatto si sarebbe esautorato quest’ultimo, sottraendo, in mancanza dei ricordati presupposti giuridici, detto disegno di legge all’ordinario iter legis, con tutte le conseguenze che ne sarebbero scaturite in termini di compressione dei tempi e modi che l’iter stesso avrebbe comportato (emendamenti, dibattito, esame, voto), cosa tanto più discutibile ove si consideri che la materia diritti di libertà e quella penale sono materie coperte da riserva di legge.
Relativamente al merito, si contesta invece, tra l’altro, l’eterogeneità, la disomogeneità dei contenuti del Decreto Sicurezza, anche in questo caso in antitesi con la giurisprudenza della Corte costituzionale che censura l’utilizzo dei decreti-legge per disciplinare una pluralità di materie. Il Decreto Sicurezza infatti, scrive l’Ufficio, spaziando dall’attività di prevenzione e contrasto al terrorismo e alla criminalità, all’introduzione di misure in materia di sicurezza urbana e di vittime di usura, manifesterebbe, per dirla con le parole dell’Ufficio stesso, “… ‘… una degenerante ipertrofia penalistica’ in cui ‘il concetto di sicurezza – variamente declinato – è il nucleo centrale’ in un’accezione stato-centrica ‘punitiva e repressiva, distante dal disegno costituzionale’, volta al ‘rafforzamento sproporzionato delle situazioni giuridiche soggettive di coloro che sono impegnati in attività di ordine pubblico’ … coltivando ancora una volta ‘l’illusoria vocazione general-preventiva’ che la creazione di nuovi reati o l’inasprimento delle pene esistenti sia condizione essenziale per garantire migliori livelli di sicurezza per i cittadini, quando invece l’immissione di massicce dosi di penalità primaria comporterà ‘un aumento dei procedimenti, con possibili effetti negativi sulla durata complessiva dei processi’ ed invitabili conseguenze ‘carcerogene’…”.
Sempre al merito attengono poi i rilievi dell’Ufficio sulle disposizioni che stabiliscono il trattamento sanzionatorio, reputando che tali disposizioni, “… in quanto destinate a incidere sulla libertà personale dei loro destinatari, devono … ritenersi suscettibili di controllo …e per gli eventuali vizi di manifesta irragionevolezza o di violazione del principio di proporzionalità …, dovendosi scongiurare il rischio di irrogazione di ‘una sanzione non proporzionata all’effettiva gravità del fatto”.
Una relazione dunque così particolareggiata, così piena di riferimenti a presunti principi dell’ordinamento costituzionale che sarebbero stati violati con il Decreto Sicurezza e a corrispondenti pronunce della Corte costituzionale e a pubblicazioni di autorevoli giuristi che comproverebbero tali violazioni, che fa indubbiamente riflettere, che appare addirittura insolitamente preparatoria del lavoro della Corte stessa allorché, pressoché inevitabilmente, sarà chiamata a sindacare le misure ritenute dai giudici contra constitutionem.
E una relazione così strutturata non poteva non sollevare reazioni tra gli esponenti delle diverse forze politiche, in particolare di quelle di maggioranza, tenuto pure conto del particolare e delicato momento politico in cui si colloca il Decreto Sicurezza rispetto alla riforma della giustizia, che passa attraverso l’avviato iter di revisione dei pertinenti articoli della Costituzione quale presupposto della modifica anche del codice di procedura penale, e che vede proprio la maggioranza di governo in netta contrapposizione con diverse e maggioritarie componenti della magistratura, soprattutto quelle di “area di sinistra”.
Emblematiche in tal senso:
- l’incredulità espressa dal Ministro della Giustizia Carlo Nordio;
- le dichiarazioni del presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri, che parla di “invasione di campo” della Cassazione proprio mentre si sta facendo la riforma della giustizia, e che è convinto che la “… Cassazione ci dà una motivazione in più per andare nella direzione di un cambiamento di regole”, fermo restando che la stessa, anziché “… aiutare il popolo italiano ad essere più tutelato e più sicuro”, semina dubbi producendo “… 130 pagine inutili che rispondono più a una pulsione politica del mondo togato che non a una interpretazione del diritto”;
- le affermazioni del vicepresidente della Camera di Fratelli d’Italia, Fabio Rampelli, che parla di un vero e proprio sconfinamento della Cassazione, che di fatto si sostituisce alla Corte Costituzionale, sottoponendo “… il dl sicurezza a giudizi che esulano dalla sua funzione, confondendo volutamente la presunta illegittimità costituzionale con i pareri di autorevoli giuristi, condannando quindi senza averne il potere una legge voluta dal Parlamento e promulgata dal Capo dello Stato”.
Insomma, il Decreto Sicurezza ha aperto un fronte che prevedibilmente porterà a una resa dei conti tra poteri dello Stato, perché se è vero che l’obiettivo dichiarato è quello di efficientare una macchina della giustizia che scricchiola e suscita non poche perplessità, è altrettanto vero che l’altro obiettivo perseguito da chi governa, non dichiarato, è quello di “riequilibrare” il rapporto tra i poteri stessi. E questa volta, con un Capo del Governo di centro-destra decisamente meno “aggredibile” che in passato dalla magistratura, si ha tanto la sensazione che ci siano tutte le condizioni per andare avanti fino in fondo in questa contesa, e senza esclusioni di colpi, con i cittadini elettori che, inevitabilmente, direttamente (referendum) e indirettamente (elezioni) saranno chiamati a decidere da che parte stare nei momenti cruciali.