“Salute mentale”: un diritto (dovere) seriamente a rischio!
ROMA – Lo scorso 10 ottobre si è celebrata la Giornata Mondiale della Salute Mentale, che in particolare è stata l’occasione per svolgere, non solo ai diversi livelli istituzionali, riflessioni e valutazioni varie sul tema.
Durante gli eventi organizzati non poteva naturalmente mancare l’esposizione di dati, come quelli ad esempio elaborati dall’Unicef che ci dicono che un adolescente su sette, di età compresa fra i 10 e i 19 anni, soffre di un disturbo mentale diagnosticato che ne compromette la capacità di apprendere, relazionarsi e crescere e che, circoscrivendo la fascia adolescenziale tra i 15 e i 19 anni, il suicidio da disturbo mentale risulta essere la quarta causa di morte più comune.
Si tratta naturalmente di alcuni dei dati, preoccupanti, che fotografano quanto è gravemente a rischio la salute mentale, soprattutto quella dei bambini e degli adolescenti, ma che danno anche la misura della necessità di una pluralità di interventi, diversificati e integrati, per migliorare la situazione; interventi che però presuppongono la chiara consapevolezza che il prendersi cura della salute della mente non costituisce solo un bisogno, ma un diritto, e un dovere, fondamentali che interessano indistintamente tutti.
Consapevolezza che evidentemente manca se si continua a considerare la salute mentale quasi residuale o comunque marginale rispetto a quella fisica, forse perché i disturbi mentali si manifestano spesso in modo “invisibile”.
Un ulteriore dato avvalora l’esigenza di un brusco cambiamento di rotta nell’approccio alla questione “salute mentale”: tra i giovani si registra un lieve calo nel consumo di droghe e un’impennata nell’uso di psicofarmaci (ansiolitici, sedativi, antidepressivi), reperiti, a vario titolo, senza una specifica prescrizione del medico e probabilmente percepiti come più sicuri o meno pericolosi rispetto alle droghe perché di uso medico.
Tale circostanza è chiaramente rivelatrice di un incremento di stati di ansia, depressione, stress scolastico e disturbi dell’umore, acuiti dall’isolamento da pandemia, ma anche del livello di competizione, di pressione sociale e di senso di incertezza verso il futuro che si trovano a vivere i giovani in particolare.
Ma pure il bombardamento, in termini di flusso continuato di informazioni per lo più non richieste e inutili, che consegue all’utilizzo dei social network finisce per danneggiare la salute mentale.
I social network attentano alla nostra capacità di concentrazione, ci propinano spesso il confronto con “vite idealizzate” (?!), ci somministrano immagini di corpi perfetti “costruiti” digitalmente, ma anche immagini irrealistiche delle relazioni sessuali, che finiscono per determinare aspettative distorte da cui possono scaturire, nel caso di mancato raggiungimento di quegli standard (anche corporei) artificiosi, insoddisfazione, frustrazione e abbassamento della propria autostima.
Ancor di più devastante è poi la dipendenza dai social network, che si traduce sostanzialmente nella “paura di perdersi qualcosa”, paura che spinge a rimanere sempre connessi e a cui consegue, tra l’altro, l’irritabilità quando si è offline, la perdita di interesse per attività diverse da quelle digitali (sport e hobby in specie, ma anche studio) e l’inaridimento delle relazioni personali reali e, con esso, il senso di isolamento e solitudine.
Insomma, un tema complesso quello della salute mentale, che necessita di competenze specialistiche per poter essere affrontato e trattato adeguatamente e che richiede pronte ed efficaci soluzioni per rimuovere o quantomeno per ridurre le evidenti criticità che registrano gli inerenti servizi sociosanitari.
Ne parliamo con la dott.ssa Daniela Pezzi, un’esperta del settore, referente del Servizio Salute Mentale della Caritas diocesana di Roma – Area Sanitaria, tra l’altro autrice di articoli e pubblicazioni sui temi della salute mentale, del disagio sociale e dei diritti negati, e già presidente della Consulta per la salute mentale della Regione Lazio e della Consulta per la salute mentale del Comune di Roma.
“Non vi è dubbio – afferma la dott.ssa Pezzi – che parlare negli ultimi anni di ansia, depressione, disturbi dell’umore e disturbi del comportamento, tutte fragilità queste in forte crescita soprattutto tra adolescenti e giovani adulti, non è più un tabù assoluto come lo era in passato. Il problema è un altro: la possibilità di ricevere un effettivo aiuto da parte della rete di strutture pubbliche che dovrebbero farsi carico di tali fragilità. Tutto questo dipende, in particolare, dal fatto che tale rete è spesso insufficiente e disomogenea sul territorio, dispone di risorse economiche inadeguate e paga una cronica carenza di personale specializzato, fattori questi che trovano una manifestazione sintomatica nelle lunghissime liste di attesa che si formano per chi ha bisogno di aiuto.”.
“Se aumentano i bisogni assistenziali ma non l’offerta di cura e presa in carico, il solco tra domanda di salute e capacità di risposte adeguate – prosegue la dott.ssa Pezzi – diventa sempre più profondo per i cittadini bisognosi. L’enfasi dei media e di parte della politica sulla sicurezza sociale e sulla pericolosità del paziente psichiatrico, rischiano di trasformare l’ambito della salute mentale in servizi/presidi di controllo più che di accoglienza, diagnosi, terapia e riabilitazione (oltre che di facilitazione di percorsi di reinserimento sociale), tradendo lo spirito della legge di riforma psichiatrica e il modello comunitario territoriale da essa delineato. Durante i lavori del Congresso promosso nei giorni scorsi a Roma dal Collegio nazionale dei Dipartimenti di Salute Mentale (DSM) si è parlato molto della grave carenza di risorse economiche destinate alla salute mentale. Nonostante sia stato firmato nel gennaio 2001, in sede di Conferenza Stato-Regioni, un accordo che fissava al 5% del Fondo Sanitario Nazionale gli investimenti in salute mentale, ad oggi siamo ben lontani da tale obiettivo. In Italia siamo a circa il 3% in media per regione, l’Unione Europea ci chiede di arrivare quanto prima al 6%, mentre Francia, Germania, Olanda e Regno Unito investono già ampiamente il 10% del rispettivo Fondo Sanitario Nazionale. Se non ci sono risorse congrue, il nostro sistema di salute mentale, che si basa su un modello territoriale diffuso che fa capo ai DSM e ai Centri di Salute Mentale (CSM), non potrà mai essere efficiente e pienamente accessibile, se non in particolari casi che purtroppo rappresentano sporadici modelli virtuosi. La stessa cosa si può dire per i consultori familiari, nati per offrire ascolto e supporto psicologico, che in alcuni territori costituiscono dei veri centri di prossimità, a cui ci si può rivolgere con tempi di attesa brevi per un colloquio o un percorso breve con psicologi e psicoterapeuti, in altri richiedono attese di mesi.”.
“Relativamente alle soluzioni alle criticità brevemente esposte – conclude la dott.ssa Pezzi – non posso che rifarmi a un documento elaborato dalla Caritas Diocesana di Roma sulla Salute Mentale, datato maggio 2025, in cui, dopo aver analizzato il contesto e le criticità attuali (insufficienza di risorse, difficoltà di accesso alle cure, uso della contenzione meccanica, stigma e isolamento, strutture residenziali non adeguate, mancanza di spazi di ascolto) e sottolineato come per la Caritas il sistema di salute mentale dovrebbe basarsi su quattro principi fondamentali (l’ascolto e l’accompagnamento delle persone e delle famiglie, il diritto a cure accessibili e tempestive per tutti, la centralità della persona sotto il profilo della dignità, l’autodeterminazione e l’inclusione sociale, il rifiuto della contenzione e la promozione di alternative umane e terapeutiche), si indicano una serie di proposte operative assolutamente fattibili se solo ci fosse una effettiva volontà politico- istituzionale in quella direzione. Per chi volesse consultarle faccio presente che il documento è reperibile sul sito della Caritas. La Caritas muove da un principio assiomatico: la salute mentale non può dipendere dalla posizione reddituale di chi soffre di disturbi mentali, né può essere assicurata attraverso estemporanee iniziative, dovrebbe essere invece garantita come qualsiasi altra forma di assistenza sanitaria di base. Ecco perché occorrono risorse economiche adeguate, una reale integrazione tra servizi sanitari, sociali e scolastici.
Si pensi, relativamente alla scuola, a quanto potrebbe essere utile per gli studenti un investimento nell’educazione alla salute mentale, introducendo percorsi di alfabetizzazione emotiva, gestione dello stress e consapevolezza sui farmaci. Si fa ancora fatica a capire, più in generale, che il diritto alla salute mentale riguarda trasversalmente ognuno di noi, che tutelarlo significa spendersi, nell’esercizio di un dovere collettivo e di un atto di alta responsabilità sociale, per il diritto a una vita consapevole e dignitosa di chi soffre di disturbi mentali.”.


