Sovraffollamento carceri, Regione Lazio: situazione critica
ROMA – I dati del Ministero della Giustizia, aggiornati al 30 giugno 2024, ci dicono che nei 189 istituti penitenziari italiani i detenuti presenti sono complessivamente 61.480 a fronte di una capienza regolamentare di 51.234 posti, con un sovraffollamento quindi di poco inferiore al 20% (il dato sale a oltre il 29% se calcolato rispetto ai posti effettivamente disponibili negli istituti stessi). Alla stessa data, nei 14 istituti penitenziari del Lazio i detenuti sono 6.788, in rapporto a una capienza regolamentare di 5.281 posti, con un sovraffollamento dunque di oltre il 28,5%, dato questo che lievita al 43% se parametrato ai posti effettivamente disponibili, pari a 4742. Dai dati, emerge inoltre che il Lazio è la quarta regione per numero di detenuti (preceduta solo da Lombardia, Campania e Sicilia), di cui il 70% condannati in via definitiva (4764), il 13,5% condannati in via non definitiva (919), il 16% in attesa di primo giudizio (1.094); di tali detenuti 2.544 – ossia circa il 37,5 % – sono stranieri, dato questo che colloca la regione alle spalle della sola Lombardia.
Provando a fotografare più nel dettaglio i singoli istituti penitenziari del Lazio, le situazioni più allarmanti in termini di affollamento appaiono quelle di: Casa Circondariale di Roma Regina Coeli, in cui a fronte di 628 posti di capienza regolamentare e di posti effettivamente disponibili, il numero dei detenuti è di 1147; Casa Circondariale di Viterbo, dove in relazione a 440 posti di capienza regolamentare e a 405 posti effettivamente disponibili, il numero dei detenuti è di 667; Casa Circondariale di Rieti, in cui rispetto ai 295 posti di capienza regolamentare e ai 289 di posti effettivamente disponibili, il numero dei detenuti è di 492; Casa Circondariale di Civitavecchia Nuovo Complesso in cui a fronte di 357 posti di capienza regolamentare e di 311 posti effettivamente disponibili, il numero dei detenuti è di 527; Casa Circondariale di Latina, in cui in relazione ai 77 posti di capienza regolamentare e ai 76 posti effettivamente disponibili, il numero dei detenuti è di 125. Dopo il biennio 2020-2021, in cui si è assistito a un significativo decongestionamento delle presenze in carcere scaturito dalla riduzione degli ingressi dovuta alle misure tese a contrastare il rischio di contagio da COVID-19, già a partire dai primi mesi del 2022 il numero degli ingressi in carcere è tornato a crescere. Infatti, dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2023, il numero dei detenuti presenti nelle carceri del Lazio è aumentato di quasi mille unità. Va tuttavia precisato che il numero dei nuovi ingressi in carcere nel 2023, pari a 4.092 in Lazio e a complessivi 37.879 in Italia, è stato comunque ancora percettibilmente inferiore a quello registrato nel 2019 ossia nell’anno precedente alla pandemia: 5.642 in Lazio e 46.201 nell’intero Paese.
Questi dati fondamentalmente ci dicono due cose: da un lato, che rispetto alla fase precedente alla pandemia c’è ancora un effetto calmieramento nelle incarcerazioni; dall’altro, che il sovraffollamento, a parità di strutture carcerarie, è prodotto anche dal limitato accesso, in esecuzione di pena, alle misure alternative al carcere. Ed è proprio il trattenimento in carcere dei condannati fino all’ultimo giorno di pena a costituire forse l’indice più sintomatico dell’inefficace perseguimento, da parte del sistema penitenziario, del principio affermato dalla nostra Costituzione secondo cui «Le pene … devono tendere alla rieducazione del condannato» (art. 27, terzo co.), finalità rieducativa della pena che andrebbe perseguita, chiaramente, soprattutto con la progressione del trattamento penale verso il pieno reinserimento sociale del condannato, applicando le diverse misure alternative alla detenzione che l’ordinamento prevede (cfr., in particolare, il TITOLO I – CAPO VI della l. 354/1975). Paradossalmente, è proprio partendo da tale ultima constatazione che – provando a fare dell’inopportuno umorismo su un tema da cui si misura invece il grado di civiltà di un Paese – relativamente alle diverse origini etimologiche del termine “carcere”, quella secondo cui deriverebbe dall’ebraico “carcar” ossia tumulare, sotterrare i prigionieri, calandoli in locali sotterranei, finisce per lasciarsi preferire.