Autonomia differenziata delle Regioni: opportunità di sviluppo o causa di ulteriore stagnazione del sistema Paese?

ROMA – L’art. 116, terzo co. della Cost. stabilisce che in determinate materie (quelle di legislazione concorrente, ma anche alcune di legislazione esclusiva dello Stato) possano essere attribuite alle regioni a statuto ordinario, con legge dello Stato, sulla base di un’intesa fra lo Stato e la regione interessata, «Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia …» (c.d. “autonomia differenziata”). Con la legge 26 giugno 2024, n. 86, in vigore dal 13 luglio scorso, il Parlamento italiano, con il dichiarato fine di rimuovere discriminazioni e disparità di accesso ai servizi essenziali sul territorio, ha definito i princìpi generali per l’attribuzione alle regioni a statuto ordinario dell’autonomia differenziata, tra cui anche le modalità per la determinazione dei criteri di individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessari all’esercizio della stessa, nel rispetto e in attuazione di altri princìpi già codificati nell’ordinamento interno (tra tutti, quello supremo dell’unità e indivisibilità della Repubblica). Si tratta di un tema che sta determinando spaccature, anche ideologiche, tra chi governa e sta portando avanti la riforma (il centro-destra) e chi sta all’opposizione e contrasta la stessa (il centro-sinistra); la formazione di due blocchi politici rigorosamente contrapposti, non poteva non sfociare nella promozione, ancora in corso attraverso la raccolta delle previste firme, di un referendum abrogativo ex art. 75 Cost., il cui quesito referendario – in nome dell’unità del Paese, al fine di non impoverire il lavoro, di non compromettere le politiche ambientali, di non colpire l’istruzione e la sanità pubblica, ecc. – è sostanzialmente il seguente: volete che sia abrogata la legge 86/2024? Ma il quesito essenziale, sostanziale, a ben vedere, dalla cui risposta probabilmente dipenderà anche l’esito del primo, è un altro: l’attuazione dell’autonomia differenziata viene vista dagli italiani come un’opportunità di sviluppo o come una causa di ulteriore ristagno del sistema Paese? Viene percepita come un’occasione per ridurre i divari territoriali tra le regioni o come un fattore per ingigantire gli stessi? Sembra evidente che, a seconda della prospettiva politica, ragioni a sostegno dell’una o dell’altra posizione possano essere individuate, senza contare poi che, all’interno delle opposizioni, chi contesta l’autonomia differenziata voluta dal governo Meloni vede in essa anche un’occasione per ritrovare unità, un banco di prova, un test per il c.d. “campo largo”, circostanza questa che da la misura di come in politica ogni iniziativa persegua pure finalità diverse, avulse da quelle dichiarate. Astenendosi da un’analisi delle ragioni a favore o a sfavore dell’autonomia differenziata così come concepita dalla legge 86/2024, tutte degne di considerazione ma tutte, parimenti, necessitanti, per valutarne la giustezza, di una verifica fattuale, di una prova dei fatti a seguito dell’eventuale attuazione dell’autonomia stessa, su alcuni punti si ritiene che ci sia poco da discutere: la legge 86/2024, come si diceva, è attuativa dell’art. 116, terzo co. della Cost., articolo novellato, nell’ambito della riforma del Titolo V della parte seconda della Cost., dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, approvata proprio dal centrosinistra, che oggi invece si oppone all’autonomia differenziata prevista dalla riforma stessa; è controverso l’essere, nella pratica politica e sociale, ora custode e paladino della Costituzione, ora oppositore all’attuazione della stessa; l’autonomia differenziata, comunque la si attui, deve obbligatoriamente incanalarsi entro il rigido percorso tracciato dal novellato art. 116 della Cost., con i limiti insiti in questo (su tutti quello della bilateralità della legislazione attributiva di nuove competenze alle regioni ossia dell’esigenza di un procedimento aggravato intesa/legge, ma anche quello dell’eccessiva e irrazionale estensione del campo della devoluzione a oltre 20 materie); in un Paese in cui le regioni del Nord e del Sud viaggiano a due velocità, l’idea di premiare chi merita sul presupposto del miglioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti può indubbiamente stimolare ogni regione a migliorare la propria policy, raccogliendo la sfida di chi è più competitivo; a fronte di un conclamato storico divario tra le regioni italiane, tra il rimanere inerti, come è stato finora per oltre 20 anni, e il provare a dare una risposta in attuazione di un articolo della Cost. per ridurre il divario stesso, di sicuro quest’ultima strada appare la più sostenibile.