Caso della nave Diciotti: “Pacta sunt servanda”!

ROMA – La locuzione latina in intestazione – letteralmente “I patti devono essere rispettati” – esprime una norma formale, di carattere consuetudinario, stabilita dall’articolo 26 della “Convenzione sul diritto dei trattati” conclusa a Vienna il 23 maggio 1969. Essa costituisce uno dei principi fondamentali del diritto internazionale in quanto afferma il vincolo per gli Stati contraenti di un accordo di adempiere gli impegni assunti con la stipulazione dello stesso; ne consegue che tale vincolo costituisce un limite alla potestà legislativa dello Stato e non può costituire oggetto di deroga sulla base di scelte e valutazioni discrezionali dell’autorità politica, poiché assume un rango gerarchico superiore rispetto alla disciplina interna.

Siffatto principio – unitamente a quello dell’obbligo del soccorso in mare, che costituisce un preciso dovere di tutti i soggetti che abbiano notizia di una nave o persona in pericolo in qualsiasi zona di mare e che è prevalente anche su tutte le norme e gli accordi bilaterali finalizzati al contrasto dell’immigrazione irregolare – è tra quelli evocati dalla Cassazione Civile, Sezioni Unite, nell’ordinanza 7 marzo 2025, n. 5992, con cui la Suprema Corte condanna il Governo italiano al risarcimento dei danni non patrimoniali patiti da alcuni migranti eritrei ai quali, dopo essere stati soccorsi in mare dalla nave della marina militare italiana U. Diciotti e condotti dalla stessa nel porto di Catania, per dieci giorni, dal 16 al 25 agosto del 2018, era stato impedito di sbarcare, dietro disposizioni dell’allora Ministro dell’interno Matteo Salvini.

Con tale pronuncia, la Cassazione cassa la sentenza con cui a marzo dello scorso anno la Corte d’Appello di Roma aveva respinto, nel merito, la domanda di risarcimento dei supposti danni subiti da detti migranti a seguito del rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco nei ricordati dieci giorni, esattamente come la domanda stessa già era stata rigettata dal Tribunale di Roma in primo grado, rigetto peraltro richiesto anche dal procuratore generale della Cassazione.

Sarà dunque la stessa Corte d’Appello di Roma, in composizione diversa, a dover riesaminare la domanda di risarcimento e a quantificare lo stesso, in caso di eventuali e accertati danni imputabili a responsabilità della p.a. intesa come apparato.

Insomma, una questione complessa, dal punto di vista giuridico e “politico” in senso lato, che inevitabilmente finisce per rinfocolare le già significative tensioni in essere tra governo e magistratura, con esponenti dei due poteri dello Stato che si scambiano messaggi non propriamente “affettuosi”.

Un “conflitto” tra poteri dello Stato, quello scaturito dal caso della nave Diciotti, basato pure su una diversa interpretazione della natura giuridica del richiamato rifiuto dell’autorizzazione allo sbarco, considerando che secondo il governo è un “atto politico” e come tale sottratto al controllo giurisdizionale, mentre per la magistratura è « un atto che esprime una funzione amministrativa da svolgere, sia pure in attuazione di un indirizzo politico », con la conseguenza che le « motivazioni politiche alla base della condotta non ne snaturano la qualificazione, non rendono, cioè, politico un atto che è, e resta, ontologicamente amministrativo …» e quindi, per questo, soggetto « al sindacato giurisdizionale quando si ponga al di fuori dei limiti che la Costituzione e la legge gli impongono, soprattutto quando siano in gioco i diritti fondamentali dei cittadini (o stranieri), costituzionalmente tutelati».

Un “conflitto” che vede anche chiaramente la Cassazione, per un verso, valutare come non ragionevole il tempo (10 giorni) in cui, al netto delle operazioni strettamente necessarie in casi del genere ad assicurare lo sbarco, è stato effettuato lo sbarco stesso e, per un altro, ritenere consequenzialmente che «… occorre valutare se il trattenimento dei migranti a bordo della nave Diciotti integri, oppure no, un’arbitraria violazione della libertà personale …».

Insomma, una vicenda che avrà sicuramente degli strascichi, in cui le dichiarazioni contrapposte di alcuni dei protagonisti delle parti in causa sembrano essere le sole avvisaglie di una “resa dei conti” tra una parte della politica e la (una parte della?) magistratura, la cui genesi è risalente all’entrata di Silvio Berlusconi sulla scena politica italiana. Una situazione che sembra non avere una fine, che ha registrato momenti di più acceso scontro e altri di apparente tregua, ma che a ben vedere resta uno dei temi più caldi e costanti della politica italiana da “tangentopoli” in avanti, sapendo, le parti in ballo, che se non ci sarà un nobile compromesso si conteranno verosimilmente delle “perdite” in entrambi gli schieramenti.

Certo la sensazione che si percepisce, ritornando al caso della nave Diciotti, è che non faccia particolarmente piacere, per dirla con un eufemismo, ai cittadini italiani di dover risarcire, con soldi pubblici, i presunti danni che avrebbero patito dei migranti irregolari dopo che, a bordo di imbarcazioni in balia delle onde, sono stati dapprima soccorsi e tratti in salvo in acque internazionali non di competenza italiana e successivamente ospitati e assistiti a bordo della nave stessa.

A maggior ragione se si guarda alle possibili conseguenze della richiamata ordinanza della Cassazione, considerata la dimensione dei flussi migratori illegali dall’Africa, gestiti per lo più da organizzazioni criminali, di cui gli stessi migranti sono attori consapevoli.

Occorrerebbe forse partire dalla consapevolezza che anche le disposizioni normative approvate per tutelare valori e beni universali, ancorché oggetto di convenzioni o accordi internazionali ratificati con legge, necessitano di un’interpretazione e, coerentemente, di una applicazione che, almeno rispetto a talune fattispecie, richiederebbe il necessario contemperamento dei diversi interessi in ballo e una ragionevole valutazione dei risultati che da essa possono conseguire.