Intelligenza artificiale: lavori e professioni a rischio?
ROMA – Se è vero che l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale (IA) è sempre più diffuso, è altresì certo che numerosi sono gli interrogativi che accompagnano tale stato di cose, che riguardano aspetti come la sicurezza, l’affidabilità e l’eticità degli stessi sistemi, ma anche il loro impatto, gli effetti che, nel medio-lungo periodo, potranno avere sul lavoro autonomo e subordinato, sui livelli occupazionali e, più specificatamente, sulle modalità di svolgimento di determinate attività lavorative.
Anche se non mancano i primi studi, le prime ricerche sull’argomento, che ci dicono ad esempio che alcuni settori, come quello della comunicazione e dei media, sono più esposti, meno impermeabili all’avanzamento dell’IA e, consequenzialmente, che alcuni lavori sono destinati a sparire, è obiettivamente impossibile che la stessa possa sostituire del tutto il fattore umano, azzerare la forza lavoro, soprattutto in certi campi.
Ci si riferisce, in special modo, a tutti quei contesti lavorativi e professionali in cui l’IA può certamente efficientare, anche riducendo significativamente i tempi di lavoro, il livello della produzione, ma non certo sostituire quelle prerogative proprie del fattore umano, come le capacità strategiche, di supervisione e coordinamento di attività integrate, le abilità di lettura, interpretazione e collegamento di fatti e dati che scaturiscono anche dalle competenze acquisite ed esperienze maturate, la creatività, la gestione dell’imprevisto e il problem solving.
Ma, più in generale, è dove la manualità (intesa sia sotto il profilo oggettivo, sia sotto quello soggettivo), il contatto umano e le interazioni fisiche e relazionali sono fattori essenziali e imprescindibili, che l’IA non potrà sostituirsi all’elemento umano, non potendolo evidentemente replicare.
Insomma, l’IA non soppianterà totalmente le professioni e i mestieri, ma sicuramente determinerà la necessità di ripensarli quanto a competenze e ruoli, imporrà di averla, in molti casi, come valida alleata per aumentare la propria produttività e competitività e, in altri, laddove si svolgano attività lavorative agevolmente automatizzabili, l’esigenza di investire nella formazione che, unitamente a resilienza e adattabilità, costituiscono skills, elementi chiave e decisivi per ricollocarsi prontamente nel mondo del lavoro moderno.
Il rischio che si corre, per nulla remoto, è tuttavia un altro: la possibile dipendenza e omologazione all’IA, esattamente come per qualunque altra forma di dipendenza tecnologica, con l’impatto negativo che ne deriva sullo sviluppo cognitivo, linguistico ed emotivo di coloro che ne restano “contagiati”, sulla loro capacità di analisi e ragionamento.
Diversamente detto, il rischio che si corre è che l’IA possa far pensare a taluni, specialmente a quelli che in ambito lavorativo fanno fatica a distinguersi per merito e impegno, per capacità di affrontare questioni e individuare soluzioni, di essere all’improvviso diventati efficientissimi, illudendosi che i neuroni artificiali possano sostituire quelli biologici – normalmente in posizione “off”, anche quando esistenti in quantità adeguata, per tali categorie di individui – e siano capaci di trovare, a precisa formulazione di richiesta, una risposta a tutto: è il destino dei rimbecilliti da intelligenza artificiale!