ROMA - Negli ultimi anni l'inizio precoce della terapia antiretrovirale e l'uso di nuove combinazioni di farmaci, in particolare gli inibitori delle integrasi, ha portato a un miglioramento dell'efficacia del trattamento anti HIV, nonché della sicurezza e dell'aderenza stessa. Nonostante il controllo sistemico dell'infezione e i nuovi risultati nella terapia, l'infezione del sistema nervoso centrale può giocare un ruolo chiave all'interno di questa importante battaglia. L'infezione cronica di alcune cellule del sistema nervoso centrale, infatti, richiede diverse e nuove strategie di controllo.
LE CONSEGUENZE - Il virus Hiv, per sua natura, si può rifugiare nel sistema nervoso centrale. Tale presenza può produrre nel tempo patologie anche degne di rilievo. Questo perché nel sistema nervoso si genera una zona di "sequestramento" in cui il virus potrebbe continuare a lavorare indisturbato, provocando disturbi di tipo cognitivo, di lieve o moderata entità. Si parla per lo più di disturbi relativi all’attenzione e alla memoria, nonché relativi alle funzioni esecutive e a quelle dei movimenti più fini.
IL COMMENTO - «Secondo recenti studi - spiega il Prof. Andrea Antinori, infettivologo, Direttore Malattie Infettive dell'IIRCCS INMI Lazzaro Spallanzani di Roma - una persona con HIV su quattro mostra deficit di tipo cognitivo; anche se di questo 25% in due casi su tre il disturbo è di tipo asintomatico, riscontrabile quindi solo tramite appositi test. Parliamo dunque di un disturbo di alcune funzioni, quali motorie, mnemoniche ed esecutive, che comunque nella maggior parte dei casi non condiziona molto la quotidianità. Solo il 2-3% dei pazienti con Hiv e con un difetto cognitivo sviluppa patologie più gravi, le cosiddette demenze, che corrispondono allo stadio più avanzato della malattia».
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