ROMA – Tra i numerosi fronti sui quali la maggioranza di governo dovrà trovare un accordo, non solo la giustizia, ma anche il salario minimo. Tema, questo, al centro di due diversi Ddl a firma PD e M5S, su cui potrebbe essere vicina l’intesa secondo quanto annunciato nei giorni scorsi dal Ministro del Lavoro, Nunzia Catalfo. Ma per garantire un salario minimo orario a tutti i lavoratori è necessario partire prima da una revisione dei contratti collettivi nazionali di lavoro e subito dopo da una riforma della rappresentanza sindacale.
IL PUNTO DI VISTA - Ne è convinto il presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, Rosario De Luca, che nell’ultima puntata di “Punti di Vista”, il programma di approfondimento politico dei Consulenti del Lavoro, sottolinea da un lato come sia impensabile oggi vedere lavoratori costretti ad accettare retribuzioni bassissime perché non assistiti da contratti collettivi.
L'AUMENTO DEL COSTO - Ma, dall’altro, che bisogna evitare che l’aumento fino a 9 euro lordi l’ora per le qualifiche minime crei, in sede di rinnovo dei contratti collettivi, un innalzamento delle retribuzioni anche dei lavoratori più qualificati, perché «questo effetto rimbalzo – sostiene De Luca – provocherebbe un aumento del costo del lavoro per le imprese». Favorevole alla revisione dei CCNL anche l’on. Walter Rizzetto (FdI), uno dei primi a presentare una risoluzione alla Camera dei Deputati sul salario minimo garantito. «Laddove non riusciamo a fare azione a tenaglia sul salario e sull’abbattimento della pressione fiscale sulle aziende, succede un disastro. Perché le aziende – precisa – si troveranno in alcuni comparti a pagare di più rispetto a quello che pagano adesso”, con il conseguente aumento delle crisi aziendali “che nessuno vuole risolvere».
IL PRINCIPIO CONDIVISO - Eppure il sen. Emiliano Fenu (M5S), presente al dibattito, ha sottolineato la volontà del Ministro Catalfo di portare avanti la proposta di legge sul salario minimo dialogando con gli alleati di governo e con i sindacati in occasione del prossimo tavolo sulle pensioni. «Il principio è condiviso da tutti, nel senso che esiste il problema dei workingpoors, quei lavoratori che vivono al limite e in alcuni casi al di sotto della soglia di povertà e sussistenza», sottolinea Fenu. «La misura va nel senso di risolvere questo problema - continua - ma anche nel senso delle altre misure, che è quello di attenuare la disuguaglianza che sappiamo essere, oltre ad un effetto, anche effetto della crisi perdurante nel nostro Paese». Il riferimento è alla riduzione della pressione fiscale sui lavoratori dipendenti, che per i Consulenti del Lavoro deve essere applicata anche alle imprese, ma soprattutto al Reddito di cittadinanza, che il collega dell’opposizione considera «una misura che costa molto» e che ad oggi ha dato solo ai navigator un posto di lavoro «più o meno fisso».«Gli ultimi dati rispetto al Reddito di cittadinanza ci dicono che poche migliaia di persone hanno firmato il patto di lavoro», sottolinea Rizzetto, proponendo di rinviare l’utilizzo di questo strumento a quando l’Italia avrà raggiunto una disoccupazione del 3-4%.
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